Una grotta, avvolta nell’oscurità per secoli, che al suo interno custodiva la storia segreta di uno dei nostri nutrimenti ancestrali. A qualche chilometro da Valencia si trova la “cueva de la Araña” (la grotta del ragno), sulle cui pareti si trovano alcune straordinarie pitture rupestri tra cui quella di una figura umana intenta a praticare la raccolta del miele in epoca preistorica.
Questa pittura, risalente a circa il 5000 a.C., raffigura una persona appesa alle liane che, mentre è circondata da api in volo, infila una mano in un tronco d’albero alla ricerca del favo da infilare nel paniere che tiene con l’altro braccio.
È la più antica testimonianza del rapporto tra l’umanità e la società degli alveari. La storia umana e l’apicoltura sono indissolubilmente legate, e la moria delle api ci costringe a riflettere sulla correlazione tra la vita di questi insetti impollinatori e l’ecosistema.
La chef migliore in Europa a elaborare questa tematica si trova proprio nella città spagnola, non lontana da quei disegni primitivi. Nel suo caso però il filo si riallaccia a un’ascendenza molto più prossima, perché la chef Maria José Martínez ha saputo coniugare la storia della sua famiglia, da sempre competente in apicoltura, all’alta cucina, creando da Lienzo un intero percorso gastronomico capace di valorizzare il miele, il propoli, la cera, elementi fondanti non solo dei suoi piatti dolci, ma di ogni sfumatura del menù.
Lienzo, un ristorante autarchico
Per capire la filosofia di cucina di Maria Jose bisogna ragionarla su più livelli: c’è quello della cucina e del servizio di sala impeccabile, tanto da valere l’agognata stella rossa anno dopo anno, ma c’è anche quello più silenzioso e altrettanto fondamentale del proprio giardino di erbe aromatiche e piante fiorite che fungono da rifugio per le api. E ancora, quello ronzante nascosto nel cuore dei favi, dove un esercito di operaie collabora per creare il sapore atavico del dolce.
I piatti della chef
La coesione tra questi tre mondi la si intuisce fin dai primi piatti, come i Cannelloni di miele al rosmarino (miele biologico Bona Mel), formaggi della Hoya de la Iglesia e miele all’aglio nero”, che figura come primo degli amuse-bouche, come se mirasse fin dall’estetica del piatto stesso a mettere la direzione che si intende seguire durante il percorso di degustazione.
Le note zuccherine infatti non disturbano nè sovrastano, ma trovano il loro giusto equilibrio nel contrasto con la nota acida del formaggio, costringendoci a rivalutare il ruolo del dolce nell’equilibrio della cena.
Il rapporto con le api
Ma il rapporto con l’alveare è presente a tutto tondo durante la cena, come dimostrano piatti quali il Gamberi bolliti in cera d’api, crema di mais, tuorlo d’uovo in cui è la cera a prendersi il proprio ruolo in cucina, ma anche nei piatti principali di carne come nel “Vitello biologico di Fernando Robres, terrina di funghi al miele e funghi disidratati”.
Emozionante il servizio finale in abbinamento al dolce Miele di timo urbano e limone, in cui il servizio al tavolo comporta non solo un confronto con la materia prima nella sua forma più ruvida e pura, ma anche la scoperta del progetto degli alveari urbani, ovvero quelle colonie di api che si sono spostate nei centri abitati in quanto le campagne sono troppo inquinate dai pesticidi, e per paradosso ora l’obbiettivo è quello di creare degli ambienti protetti e verdi tra i palazzi dove gli insetti possano prosperare.
La scelta di Maria Jose di acquistare e utilizzare i loro mieli ne fa a tutti gli effetti un’ambasciatrice e il suo ruolo di sensibilizzazione è fondamentale per mantenere alta l’attenzione sul mondo che cambia.
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