Cultura

La globalizzazione ottocentesca violentò interi continenti: è la storia che si ripete?

Articolo di Andrea Colli, professore ordinario di Storia Economica dell’Università Bocconi

Pur con diverse sfumature quasi tutti gli osservatori concordano nell’affermare che stiamo oggi assistendo a un rallentamento nel processo di globalizzazione che ha caratterizzato gli ultimi tre decenni. Il volume del commercio mondiale misurato in percentuale del prodotto lordo ristagna ormai da oltre dieci anni, così come i flussi di capitali, compresi gli investimenti all’estero delle multinazionali, alcune delle quali anzi hanno iniziato a “rimpatriare” alcuni dei loro investimenti. Certo, il livello di integrazione resta per ora elevato in termini assoluti; sembra però aver toccato l’apice intorno al 2008. Dopo di che, la battuta d’arresto.

Non pochi affermano con sicurezza che siamo di fronte a una inversione di tendenza, ovvero a una de-globalizzazione. Altri, più ottimisticamente, preferiscono usare un efficace neologismo: slowbalization. Fluttuazioni, anche di notevole portata ma transitorie, hanno sempre caratterizzato la globalizzazione presente, in ragione di eventi inattesi o incontrollati, come ad esempio la recente pandemia. Non è facile, insomma, stabilire a priori se stiamo assistendo a una contrazione contingente o strutturale.

Come spesso accade, l’unico modo per comprendere meglio le dinamiche del presente è rivolgersi al passato, alla ricerca non tanto di previsioni quanto di similitudini. E in passato non sono mancati i casi di ondate di integrazione che a un certo punto sono implose nel loro esatto contrario, restituendoci un mondo frammentato, chiuso, profondamente diviso.

La prima globalizzazione

Tra i tanti esempi che la Storia offre forse il più rappresentativo è quello della fase di globalizzazione compresa tra la metà del diciannovesimo secolo e lo scoppio del primo conflitto mondiale. Di questa “prima” globalizzazione sappiamo a sufficienza per poterne trarre alcuni spunti, utili a capire dove (forse) ci stiamo dirigendo.

Si trattò di un processo di integrazione, non solo economica, senza precedenti. Fu tanto più spettacolare perché seguì una fase di endemica instabilità politica conseguente all’aggressività napoleonica che imperversò in Europa per oltre un decennio. Si trattò di una integrazione commerciale sempre più intensa e, apparentemente, inarrestabile. Fecero la loro comparsa imprese e imprenditori attivi non più solo su mercati locali o nazionali, ma addirittura globali. Il settore bancario e finanziario intraprese la sua mondializzazione. Fu una integrazione anche “umana”, ovvero fatta di (talora dolorosi) intensi flussi migratori, che riguardarono porzioni talora significative della popolazione di alcuni paesi.

L’importanza della tecnologia

I fattori alla base di tale trasformazione furono molteplici. Innanzitutto un fascio di innovazioni tecnologiche che riguardarono i processi di produzione, mettendo a disposizione volumi crescenti di merci; ma anche i trasporti e le comunicazioni, che consentirono di trasferire persone, informazioni, e prodotti su mercati distanti ma sempre più interconnessi. Telegrafo, cavi sottomarini, ferrovie e navigazione a vapore restrinsero per la prima volta lo spazio in maniera palpabile e significativa. La penna di Jules Verne ha descritto magistralmente questa rivoluzione nel suo Giro del mondo in ottanta giorni.

Il progresso tecnologico, tuttavia, fu condizione necessaria ma non sufficiente. All’opera furono anche fattori istituzionali, che promossero gli scambi; ad esempio, le tariffe protezionistiche subirono quasi ovunque un drastico calo, mentre accordi internazionali come il Gold Standard promuovevano favorevoli condizioni di stabilità nei rapporti commerciali. Da ultimo, il processo di integrazione avveniva in un quadro di cultura cosmopolita, rafforzato da strutture geopolitiche caratterizzate da un notevole equilibrio garantito dalla presenza di una gerarchia multipolare in cui spiccava un potere egemone, quello britannico.

Il processo di integrazione ebbe effetti indubbiamente positivi. Ad esempio, promosse processi di “convergenza”, grazie a cui alcune economie periferiche poterono avvicinarsi al centro dello sviluppo, come nel caso della neo-unificata Italia. La globalizzazione creò letteralmente nuovi protagonisti destinati di li a poco a giocare un ruolo centrale nei destini economici e politici del globo – gli Stati Uniti e la Germania, che in breve surclassarono l’Inghilterra in termini di contributo alla produzione manifatturiera globale. La globalizzazione creò vincenti, ma inferse traumi profondi; ad esempio, costrinse il Giappone a rivoluzionare radicalmente la propria cultura. Il trauma di una industrializzazione accelerata fu ultimamente alla radice della rivoluzione bolscevica. Le esigenze del commercio internazionale giustificarono due guerre dell’oppio e il seguente “secolo dell’umiliazione” cinese. La globalizzazione ottocentesca violentò l’ambiente, e la società, di interi continenti: motivò la colonizzazione dell’Africa, e trasformò vaste aree del sudest asiatico e del centroamerica in piantagioni al servizio dell’Occidente.

Vincitori e vinti

L’integrazione globale arricchì molti Paesi, molte imprese, molti imprenditori. Ma alla lunga, generò competizione e rabbia. Competizione tra Paesi, protesi in una reciproca rincorsa per la leadership. La globalizzazione rivoluzionò radicalmente gli equilibri geopolitici, innescando l’ascesa di una potenza – quella tedesca – in aperta opposizione all’egemonia britannica. L’integrazione lasciò progressivamente spazio a protezionismo, chiusura, sospetto per lo “straniero”; politicamente, si tradusse in un diffuso consenso per governi abili a sfruttare il diffuso senso di insicurezza. La rabbia, da parte di quanti la globalizzazione impoveriva, spiazzava, costringeva a emigrare nella speranza almeno di sopravvivere, fece il resto.

Il 3 agosto del 1914 la San Cristobal, una nave commerciale a vapore, per prima attraversò il canale di Panama. Il viaggio, che durò poco più di dodici ore simboleggia il culmine dell’integrazione ottocentesca. Per le strane coincidenze della storia, il medesimo giorno la Germania ufficialmente dichiarò guerra alla Francia, dando così origine all’escalation culminata nel primo conflitto mondiale, nelle cui trincee fangosa la globalizzazione sarebbe stata seppellita.

Questo è quanto ci restituisce il passato. La globalizzazione, mal governata, crea vincitori e vinti. Alcuni vincitori sono molto aggressivi, determinati a rivoluzionare l’ordine del potere mondiale. Molti tra i vinti, si affidano a chi promette loro protezione e sicurezza, anche sacrificando il bene prezioso della cooperazione nella ricerca dell’interesse comune. Riusciremo a evitare che tutto ciò si ripeta?

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