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Mauro Mordini International Workplace Group
Business

L’ufficio ovunque: la storia di International Workplace Group raccontata da Mauro Mordini, country manager Italia

Grande appassionato di calcio, Mauro Mordini, country manager Italia di International Workplace Group, il più grande operatore al mondo nel business dell’affitto di spazi e uffici attrezzati, è abituato a guardare la porta e a far goal. Una passione, quella per il pallone, che si riflette nella sua leadership di oggi: gioco di squadra, capacità di cogliere le opportunità e sguardo sempre rivolto al futuro in un settore che sta letteralmente esplodendo. Lo dice il fatturato globale di Iwg, quotata alla Borsa di Londra, che nel 2023 ha raggiunto il record nei 35 anni dalla sua fondazione: 4,27 miliardi di dollari, con più di quattromila business center in tutto il mondo (di cui 867 aggiunti nel 2023) e più di 100 in Italia, dove opera con i brand Regus, Copernico, Spaces, Signature e Hq.

Il fondatore è Mark Dixon, che opera ancora all’interno della società come ceo. Iwg ha una struttura di comando molto snella, flessibile, veloce. Non ha una sede mondiale se non quella, ufficiale, richiesta dalla legge, ma il management è dislocato nei diversi paesi. Anche in Italia non c’è una sede ufficiale. “Io utilizzo gli uffici liberi, quelli che non sono ancora stati scelti dai clienti. Quando poi quello spazio viene occupato da qualche nuova società, lo cambio”, dice Mordini, che prima di arrivare a guidare in Italia una grande multinazionale si è fatto le sue esperienze, anche dure. Ha cominciato a lavorare in Ups, dove è rimasto per 16 anni, facendo la gavetta e poi piano piano è salito e ha cominciato la carriera di manager che lo ha portato in Germania, in Inghilterra e finalmente in Italia, dove nel 2001 ha incontrato il gruppo Iwg.

“Quando sono entrato avevamo sette business center. Oggi ne abbiamo più di 100”, racconta con orgoglio. “La maggiore espansione è stata dal 2014 in avanti, grazie alla domanda crescente di spazi e uffici attrezzati e soprattutto alle persone che lavorano con me, che mi hanno dato la possibilità di accelerare e affrontare un mercato che va a gran velocità. Quindi insieme abbiamo costruito qualcosa di grande. Gli inizi non sono stati difficili, perché la società è sempre andata bene, ma il difficile è stato farsi conoscere, perché era un concetto molto, molto nuovo per l’Italia”.

Allora lo spieghi questo concetto nuovo di successo.
I nostri clienti, all’interno del network Iwg, possono scegliere tra un’immensa rete di quattromila location in 120 paesi, una piattaforma da poter utilizzare a seconda dell’esigenza sia della grossa multinazionale, sia del singolo professionista. Ma può andare bene anche per una società che vuole operare andando incontro alle esigenze dei dipendenti, quindi avere una sede rappresentativa centrale, magari più piccola, e una serie di sedi secondarie in zone più vicine all’area residenziale o comode con i mezzi di trasporto, per permettere a chi lavora di accedere più agevolmente e di raggiungerle in meno tempo. 

La vostra offerta è un passo avanti rispetto allo smart working o è un’integrazione?
È improbabile che qualcuno possa sempre decidere di lavorare da casa così come che qualcuno possa scegliere di lavorare sempre dalla sede principale. La soluzione del futuro delle grandi aziende si chiama hybrid working: è semplicemente l’utilizzo dinamico della sede aziendale, della propria casa, di un’area co-working o di un ufficio privato all’interno del business center. Anche perché se si vuole trasmettere la cultura aziendale o creare un team, farlo sempre da remoto è molto difficile.

Dopo la grande ubriacatura del remote working legata al Covid, le grandi aziende tendono a riportare in sede i propri dipendenti. Torneremo a lavorare in ufficio come prima? 
La flessibilità e il lavoro da remoto esistevano già prima del Covid. Erano molto più utilizzate dalle multinazionali, dalle società più dinamiche. Con il Covid siamo stati tutti obbligati ad adottare queste soluzioni. D’altra parte, la tecnologia ormai da anni ci permetteva di farlo, era semmai più un discorso di mentalità: oggi alcune società non richiedono neanche un giorno di lavoro dall’ufficio centrale, altri utilizzano il remote working in maniera più controllata con uno o due giorni regolati contrattualmente. Di fatto indietro al 100% non torneremo mai più e quindi tutte le aziende si stanno organizzando, ma molte lo hanno già fatto. Per esempio grandi aziende globali, come Ntt, hanno dato ai loro dipendenti (300mila) l’accesso all’intero network di spazi Iwg, attraverso un accordo di membership. Questo si traduce nella possibilità di lavorare ovunque in una delle nostre quattromila sedi a livello globale, vicino a casa, alla scuola del figlio, al luogo di villeggiatura, alla casa al mare, con una totale flessibilità.

Un modo completamente diverso di affrontare il lavoro, ma anche di organizzare la propria vita.
Ormai in moltissimi casi le società hanno sede principale in un’area di rappresentanza, una struttura produttiva o logistica in aree più funzionali, ma hanno uno o più uffici presso le nostre strutture, che sono un hub per i loro dipendenti, da usare in modo flessibile. Tante volte all’interno di questi uffici, che magari hanno quattro-cinque scrivanie, ruotano sette-otto persone, perché tutto è usato veramente con grande flessibilità.

Voi sostenente che il lavoro ibrido protegge dallo stress. In che modo?
Creando una rete di spazi sempre più capillare che permetta a tutti di avere uno spazio di lavoro flessibile vicino a dove vivono. Il passaggio al lavoro ibrido porta un miglioramento dell’equilibrio vita-lavoro, ma anche significativi benefici per la salute sia fisica, sia mentale. Ridurre gli spostamenti tra casa e lavoro permette di avere più tempo per prendersi cura del proprio benessere e riduce le probabilità di burnout. Lavorare in maniera flessibile, vicino a casa, in un ambiente attrezzato dove si può interagire, non necessariamente solo con i colleghi, ma anche con professionisti, o persone che condividono lo stesso edificio, magari anche di altre aziende, rende la vita e il rapporto con il lavoro più interessante, meno stressante. 

Per il vostro business meglio gli immobili in centro o in periferia? 
Dal 1997, quando siamo arrivati in Italia, abbiamo cominciato a espanderci. Prima lentamente, perché il nostro era un concetto molto nuovo, ma dal 2014 c’è stata una domanda crescente, con un’espansione incredibile. Siamo passati, negli ultimi dieci anni, da dieci a 100 centri in Italia e abbiamo un tasso di crescita di circa 15 centri all’anno. All’inizio abbiamo avuto uno sviluppo soprattutto metropolitano, perché un concetto di questo tipo, soprattutto agli albori, si sposava molto con il centro di Milano, di Roma o di Torino, perché il target originario era l’azienda multinazionale che voleva rimanere in centro per motivi di immagine. Ma abbiamo allargato il nostro bacino all’interno della città e quindi abbiamo aperto nelle zone semicentrali, periferiche o anche nell’hinterland.

Dove?
Abbiamo diversi centri ad Agrate Brianza, Milanofiori, Cologno Monzese, ne abbiamo due o tre nell’area di Segrate. Abbiamo allargato la nostra densità dal centro verso l’esterno e, soprattutto, l’espansione dell’ultimo anno è andata al di là della grande città, quindi siamo presenti a Milano, Roma, Torino, Firenze, Bologna e Napoli, ma abbiamo aperto a Trieste, Cagliari, Varese, Genova, stiamo aprendo a Parma, Bari, Andria, Reggio Calabria. Ormai siamo di fronte a una tendenza mondiale partita dal mondo anglosassone. Prima di aprire a22ww Reggio Calabria, abbiamo aperto quasi 60 business center a Milano. Perché è chiaro che dobbiamo muoverci con la logica, ma con un po’ di business acumen, cavalcando il mercato più importante. Però quello che accade a Milano, a Roma, a Torino ha un’evoluzione inevitabile. E quindi le società, per dire, di Padova o di Bergamo hanno a che fare con realtà che operano sul mercato internazionale.

Come nasce la scelta di aprire in una città piuttosto che in un’altra?
La richiesta per soluzioni di lavoro ibride è talmente alta che puntiamo ad ampliare il nostro network fino a essere presenti ovunque con uno spazio di lavoro flessibile, anche attraverso lo sviluppo di partnership con imprenditori o proprietari immobiliari locali. Vogliono investire con noi sia per dare nuovo valore agli immobili, sia per metterli a reddito attraverso la modalità franchising o in partnership. Nel caso della partnership, gestiamo il business per conto della proprietà degli edifici, mentre per il franchising si rivolgono a noi gruppi già più strutturati.

Il mercato internazionale, per il vostro business, è più interessante nei paesi di capitalismo maturo oppure nei paesi emergenti?
Tutti, ovunque. Iwg permette un ingresso veloce nel mercato ed è proprio la velocità di ingresso che fa la differenza anche per anni, soprattutto quando si è in fase di startup. Un imprenditore che voleva avviare un’attività in Italia, nei primi anni della nostra presenza, sarebbe dovuto venire fisicamente nel Paese, capire come funzionavano le cose, trovare l’edificio, trovare dei consulenti per il contratto, fare la ristrutturazione. Cioè, dal momento della decisione di lanciare il business al momento dell’inizio delle operazioni potevano passare anche sei, otto mesi. Attraverso il nostro network e quindi grazie alla nostra presenza, invece, è possibile essere operativi già il giorno successivo, senza preoccuparsi della struttura. Oggi il mercato, rispetto a 20 anni fa, è molto più veloce. Una volta si potevano fare i piani a cinque, dieci anni, c’era questa tendenza. Oggi, in due o tre anni cambia tutto, quindi bisogna sempre rimanere in linea con gli andamenti economici o qualsiasi variazione, nuovi mercati.

Poi, con l’intelligenza artificiale…
Appunto. In Italia gli affitti per gli uffici hanno i contratti commerciali di sei anni più sei anni. Ma oggi è diventato molto complicato pianificare a sei/12 anni. Per molte società, fare un business per sei anni è impossibile. Quello che andava benissimo fino a oggi domani non funzionerà più.  C’è assoluto bisogno di flessibilità per essere in grado di adeguare il business ma non solo, anche le strutture e il personale, altrimenti la società rischia di implodere. 

Come si calcola il break even e qual è il ritorno dei partner? 
Dipende dall’edificio e dal valore della location. Si sviluppa un prezzo anche in funzione di quello, che comprende la copertura dei costi e un margine. Anche l’occupazione degli spazi dipende da molti fattori. Prendiamo per esempio Reggio Calabria, che non è Milano, non è Manhattan, non è Londra. Apriremo a settembre e abbiamo già venduto una parte significativa degli spazi disponibili.

Cosa dice il futuro per il vostro settore?
Il futuro ci dice che il mercato flessibile degli spazi-uffici crescerà in maniera imponente. In uno studio fatto da Jll, pre-Covid, si diceva che nel 2030 il 30% degli spazi delle grosse multinazionali sarebbe stato flessibile. Tra Covid e accelerazione complessiva, probabilmente questa crescita non riguarderà solo grosse multinazionali, ma sarà di tanti, di molte aziende e probabilmente il traguardo non sarà il 2030, ma il 2026. Perché tutto è stato accelerato. Il fatto che il gruppo abbia avuto il record di fatturato nel 2023 (non abbiamo i dati del 2024), ci induce a pensare a un ulteriore miglioramento, visto che c’è un aumento esponenziale della domanda. Infatti stiamo allargando il network non solo per far fronte alla domanda di oggi, ma per essere preparati alla domanda di domani. 

Tendete a operare soprattutto con immobili in affitto. Fa parte anche questo della filosofia della flessibilità? 
Sì. Una flessibilità di cui possono godere anche i proprietari di immobili. Il 2023 si è chiuso con 867 nuove sedi aggiunte, di cui il 95% deriva da accordi di partnership. Una modalità che permette ai proprietari di dare nuovo valore agli spazi vuoti, sfruttando la nostra esperienza trentennale, senza la rigidità di lunghi rinnovi, eventuali periodi di vuoto o un’eccessiva dipendenza da singoli contratti di locazione. Gestiamo i business center in forma diretta o in partecipazione con altre proprietà che vogliono investire con noi. Altrimenti sarebbe impensabile avere quattromila edifici a disposizione.

Oggi tutti vogliono essere sostenibili. Le vostre soluzioni vi danno un vantaggio verso i vostri clienti?
Siamo molto attenti, come tutte le grosse società a livello mondiale, al tema delle emissioni e della sostenibilità. Oggi una società moderna e responsabile persegue certo il profitto, ma le stanno a cuore anche le persone e il pianeta e Iwg opera in questa direzione. Il gruppo è certificato carbon neutral dal 2023 e continuiamo a lavorare per essere più sostenibili possibile. I nostri edifici includono anche certificazioni Leed o Breeam, per citare due tra le certificazioni edilizie riconosciute che assicurano la sostenibilità degli edifici. Le nuove ristrutturazioni anche dei grossi gruppi, dei grandi fondi vanno in questa direzione e noi con loro. E poi non dimentichiamoci che uno sviluppo delle aree suburbane e periferiche aiuta concretamente a limitare le emissioni, soprattutto quelle derivanti dai trasporti: si riducono i tempi di viaggio casa-lavoro, lavoro-casa.  

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