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Strategia

Tasse, Nato, rapporti con l’Europa: le Americhe diverse di Harris e Trump

Articolo tratto dal numero di ottobre 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

“Economia delle opportunità. Tutti abbiano l’opportunità di costruire benessere per loro stessi e per i loro bambini”. Così la candidata democratica Kamala Harris ha sintetizzato la visione economica dell’America che vorrebbe guidare. Un’idea completamente diversa da quella del suo avversario repubblicano, Donald Trump. Da tempo negli Stati Uniti non si vedevano visioni di politica economica ed estera divergenti come in questa tornata elettorale.

L’attuale vicepresidente ha incentrato la campagna elettorale su misure come la riduzione dei costi dei prodotti alimentari e dei beni di prima necessità, la creazione di un fondo da circa 40 miliardi di dollari per costruire tre milioni di nuove case in quattro anni, un contributo di 25mila dollari alle famiglie per acquistare la prima casa e il ripristino del Child Tax Credit, un credito d’imposta fino a 6mila dollari annui per le famiglie con figli. Per finanziare queste spese Harris vuole aumentare la tassazione sui redditi superiori ai 400mila dollari e quella per le aziende dal 21 al 28%. Ritiene fondamentale investire nella classe media, perché “quando la classe media è forte, l’America è forte”.

Trump è all’opposto. Oltre allo smantellamento delle politiche green di Biden, intende estrarre più petrolio e gas, abbassare al 15% le tasse sui ricchi e sulle aziende che producono in America e, soprattutto, imporre dazi pesantissimi sulle importazioni, dal 10% al 60% (su alcune merci cinesi). Le nuove tasse andrebbero a colpire non solo 18 miliardi di merci, come avvenuto finora, ma fino a 3.400 miliardi di dollari di import. Misure fortemente criticate dalla sua avversaria, secondo la quale porteranno solo a un aumento dei prezzi per i consumatori americani.

Le stime degli economisti

Gli economisti Clausing e Lovely stimano che i dazi voluti da Trump costerebbero alle famiglie americane 1.700 dollari in più l’anno. Secondo Moody’s, inoltre, le politiche protezioniste potrebbero far passare l’inflazione dal 3% al 3,6% e la disoccupazione dal 4,1% al 5% nel 2025. Il think thank Tax Foudation stima che dazi al 10% ridurrebbero la produzione industriale statunitense dello 0,7% e porterebbero a perdere oltre 500mila posti di lavoro. Un effetto opposto a quello voluto dal candidato repubblicano. Anche l’abolizione della tassa sulla previdenza sociale, proposta da Trump, è ritenuta insostenibile dal Comitato per un Bilancio Responsabile, che stima in 1.600 miliardi in dieci anni il costo aggiuntivo per le casse federali.

Dall’altro lato, l’idea di Harris di tagliare le agevolazioni ai proprietari immobiliari che aumentano gli affitti di oltre il 5% annuo secondo alcuni esperti potrebbe rivelarsi controproducente e spingere a edificare meno per tenere alto il valore e il prezzo degli affitti. Trump, poi, che in passato ha criticato a più riprese il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, definendolo “un nemico più grande per gli Usa rispetto a Xi Jinping”, vorrebbe imporre un maggior controllo governativo sulle scelte di politica monetaria. Il candidato repubblicano ha rimarcato al Wall Street Journal di aver avuto “molto successo e di avere un istinto migliore rispetto alla persone che lavorano alla Fed e al suo presidente”, giustificando così il suo desiderio di controllo sull’istituzione.

Trump-Harris, politiche estere a confronto

In politica estera le divergenze sono ancora più marcate. Harris si muoverà in continuità con il suo predecessore: rafforzamento della Nato e delle relazioni con l’Ue, partnership con paesi Asean (Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico) e India e rivalità strategica con la Cina. La competizione con Pechino sarà la partita geopolitica fondamentale per la candidata democratica, secondo la quale “l’America, non la Cina, vincerà la competizione per il XXI secolo”. Non saranno secondari, però, gli scenari di conflitto in Ucraina e Israele. Non è in dubbio il sostegno incondizionato alla causa ucraina portato avanti da Biden. Tema scottante e divisivo per l’elettorato dem è invece il conflitto israelo-palestinese. Un sondaggio mostra come solo il 23% dei democratici approvi appieno l’azione militare israeliana (contro il 76% dei repubblicani). Questione spinosa per Harris: se da una parte le viene contestato di non appoggiare totalmente Israele, dall’altra, soprattutto tra gli elettori più giovani, la vicinanza a Tel Aviv è ritenuta eccessiva e criminale.

Trump, invece, è da sempre scettico nei confronti della Nato, arrivando ad affermare che Putin “potrà fare quello che vuole con gli stati europei”. Per lui è urgente mettere fine in qualche modo, mai ben specificato, alla guerra in Ucraina, perché gli Stati Uniti non possono continuare in eterno ad armarla e finanziarla. Trump si dedicherà totalmente al contrasto alla Cina, con l’Europa in secondo piano. Un disimpegno americano non sarebbe una buona notizia per gli europei, che dovrebbero creare rapidamente una difesa comune finora inesistente. In Medio Oriente Trump, il primo a spostare l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, appoggia incondizionatamente ogni azione militare di Netanyahu.

Il riflesso sul resto del mondo

L’impatto di queste scelte di politica economica ed estera non avrà un riflesso solo negli Stati Uniti. L’elezione di Harris sicuramente avrebbe un impatto meno sconvolgente, anche se c’è da considerare che un appoggio prolungato all’Ucraina potrebbe mettere alle corde la Russia e costringerla all’utilizzo di armi atomiche tattiche, con impatti gravissimi anche in Europa. Trump, invece, con le sue idee dirompenti potrebbe influire in maniera più netta anche sul resto del mondo. In primis, i dazi che propone danneggerebbero fortemente paesi esportatori come Cina, Germania e la stessa Italia. In secondo luogo, la sua idea di ‘America first’ indebolirebbe la Nato e l’Ue, che potrebbe trovarsi in difficoltà a sostenere da sola l’Ucraina o addirittura a fronteggiare la Russia.

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