La prima cosa da tenere a mente, per seguire le elezioni presidenziali statunitensi, è che non sempre vince chi prende più voti. La seconda è che potrebbe volerci molta pazienza: se il voto sarà equilibrato come prevedono i sondaggi, potrebbero volerci molte ore, o addirittura giorni, per sapere se il prossimo presidente sarà la candidata democratica, Kamala Harris, o quello repubblicano, Donald Trump.
Di seguito c’è una breve guida per orientarsi: come funzionano le elezioni in America, che cosa dicono i sondaggi, quali sono gli stati da monitorare, quando si conoscerà il vincitore, per che cosa si vota oltre alla presidenza e alcune curiosità.
Come funzionano le elezioni presidenziali statunitensi
Il principio fondamentale per seguire le elezioni americane è che non vince chi prende più voti, ma chi ottiene la maggioranza assoluta dei grandi elettori, cioè dei delegati che compongono il collegio elettorale, che a sua volta nomina il presidente e il vicepresidente. Sono in tutto 538, perciò ne servono 270 per vincere. Ogni stato ne assegna tanti quanti sono i suoi rappresentanti al Congresso (al Senato sono due per tutti, alla Camera dei rappresentanti sono in numero proporzionale alla popolazione e almeno uno per stato). Fa eccezione Washington D.C., che non ha rappresentanti al Congresso, ma, in base al 33esimo emendamento alla Costituzione statunitense, assegna tre grandi elettori.
Lo stato che mette in palio il maggior numero di grandi elettori (54) è la California, quelli che ne assegnano meno (tre) sono Alaska, Delaware, North Dakota, South Dakota e Vermont, oltre a Washington D.C. Quarantotto stati e Washington D.C. assegnano tutti i grandi elettori al candidato più votato. Le uniche eccezioni sono il Maine e il Nebraska, che attribuiscono due grandi elettori al candidato più votato a livello statale e gli altri al più votato in ciascuno dei distretti elettorali che li compongono (due e tre, rispettivamente).
In teoria i grandi elettori potrebbero anche non votare per il candidato scelto dai cittadini del loro stato. In realtà non succede quasi mai: secondo FairVote, un’organizzazione che si occupa di migliorare il processo elettorale, i grandi elettori ‘infedeli’ nella storia sono stati 90 su 23.507 e in nessun caso sono stati decisivi per la vittoria.
Che cosa dicono i sondaggi
Secondo la maggior parte dei sondaggisti le probabilità di vittoria sono circa 50 e 50. A poche ore dall’apertura dei seggi il più famoso tra loro, Nate Silver, ha compiuto 80mila simulazioni con il suo modello: in 40.012 ha vinto Harris, in 39.718 ha vinto Trump. Negli altri casi il risultato era 269 pari.
I sondaggi su scala nazionale vedono, in media, un leggero vantaggio per Harris, che è però irrilevante alla luce del sistema elettorale statunitense. Dal 2000 è accaduto due volte che il candidato più votato perdesse le elezioni: nel 2000, quando Al Gore ottenne mezzo milione di voti più di George W. Bush, e nel 2016, quando Hillary Clinton ne raccolse addirittura tre milioni più di Donald Trump.
Quali saranno gli stati decisivi
Si sa già chi vincerà nella maggior parte degli stati. I sondaggisti ritengono che 43 stati su 50 e Washington D.C. siano più o meno nelle mani di uno dei due candidati (18 più Washington D.C. in quelle di Harris, 25 in quelle di Trump). Gli stati ‘sicuri’ non bastano a nessuno dei due: Harris avrebbe 226 grandi elettori, Trump 219. Di conseguenza saranno decisivi i sette stati in bilico, che assegnano in tutto 93 grandi elettori: Nevada (6), Arizona (11), Georgia (16), North Carolina (16), Pennsylvania (19), Michigan (15) e Wisconsin (10).
Il modello di Silver, che aggrega moltissimi sondaggi e li pesa in base a quanto sono considerati attendibili, vede Harris in vantaggio dell’1% nel Wisconsin e dell’1,2% in Michigan e Trump avanti dello 0,1% in Pennsylvania, dello 0,6% nel Nevada, dell’1% in Georgia, dell’1,1% in North Carolina e del 2,4% in Arizona.
I cammini verso la vittoria di Harris e Trump
Entrambi i candidati hanno a disposizione diverse combinazioni per arrivare a 270. Harris guarda soprattutto ai tre stati in bilico del Nord (Pennsylvania, Michigan e Wisconsin) che hanno fatto parte del cosiddetto ‘Blue Wall’ (‘muro blu’) dei 18 stati più Washington D.C. che tra il 1992 e il 2012 hanno sempre votato per i democratici. Tutti e tre hanno votato per Trump nel 2016 e per Biden nel 2020, in entrambi i casi con margini molto risicati. Se vincesse in tutti gli stati è cui favorita e in questi tre, Harris arriverebbe esattamente a 270.
Trump è convinto di vincere i quattro stati in bilico del Sud. Tra questi, il Nevada ha sempre votato per i democratici dal 2008, il North Carolina per i repubblicani dal 2012. Arizona e Georgia sono stati a lungo repubblicani fino al 2020, quando hanno votato – di poco – per Biden. In ogni caso i quattro stati del Sud porterebbero Trump a 268: per vincere dovrà strappare all’avversaria almeno uno stato del Blue Wall.
A questo link si può giocare con la mappa e studiare le varie combinazioni.
Un sondaggio anomalo di cui si parla molto
Negli ultimi giorni gli americani hanno discusso molto di un sondaggio che vede Harris in testa di tre punti nell’Iowa, stato dove tutte le altre rilevazioni danno Trump in netto vantaggio. Se ne è parlato soprattutto perché l’autrice, J. Ann Selzer, gode di un’ottima reputazione e spesso, in passato, ha avuto ragione quando si è discostata dagli altri sondaggisti. Come ha ricordato il New York Times, nel 2016 e nel 2020 era tra i pochi a prevedere una netta vittoria di Trump nell’Iowa. Nel 2008 fu tra i primi a dare Barack Obama, all’epoca giovane senatore dell’Illinois, in vantaggio prima del caucus democratico dell’Iowa, che avrebbe lanciato la sua corsa alla presidenza.
L’Iowa, un piccolo stato del Midwest, assegna solo sei grandi elettori, che in un’elezione così equilibrata potrebbero però essere decisivi. Soprattutto, se Selzer avesse ragione e negli ultimi giorni ci fosse stato un forte spostamento del consenso verso Harris, qualcosa di simile potrebbe essere successo almeno negli stati vicini.
I dubbi sui sondaggi
La rilevazione di Selzer ha alimentato i dubbi sull’affidabilità dei sondaggi. Qualche giorno fa Silver ha affermato che molti sondaggisti stanno facendo ‘herding’ (da ‘herd’, ‘gregge’), cioè stanno cercando di produrre risultati molto simili tra loro e molto equilibrati per non fare figuracce.
Nelle ultime due elezioni presidenziali, inoltre, i sondaggi avevano sottostimato il consenso di Trump. È naturale domandarsi se non possa accadere anche quest’anno, ma alcuni esperti, come ha scritto Vox, sospettano l’opposto: i sondaggisti potrebbero avere ‘sovracorretto’ i loro modelli. Va da sé che, se le rilevazioni fossero sbagliate di molto, potrebbero rientrare in gioco altri stati oltre ai sette in bilico.
Quando si conoscerà il vincitore
I seggi chiuderanno a orari variabili tra la mezzanotte italiana e le sei del mattino di domani, mercoledì 6 novembre. Negli stati in cui un candidato otterrà molti più voti dell’altro si conoscerà subito il vincitore. Per quelli in bilico potrebbero volerci molte ore, se non giorni. Nel 2020 si votò il 3 novembre, ma i media assegnarono la vittoria a Biden solo il 7.
Che cosa succederebbe in caso di parità
Poiché i grandi elettori sono in numero pari, è possibile il pareggio. In quel caso, il presidente verrebbe eletto dalla Camera dei rappresentanti, dove ognuno dei 50 stati esprimerebbe un singolo voto. Il vicepresidente, invece, sarebbe eletto dal Senato, con un voto per ciascuno dei 100 senatori. In questo scenario sarebbe possibile l’elezione di un presidente e un vicepresidente di partiti diversi.
Per che cos’altro si vota
Gli americani non voteranno solo per le presidenziali. Si eleggono oggi tutta la Camera dei rappresentanti, un terzo del Senato e 11 governatori. Gli elettori di 41 stati dovranno esprimersi anche su un totale di 147 referendum. Molti riguardano l’aborto, dopo che nel 2022 la Corte Suprema ha ribaltato una sentenza degli anni ’70 e ha stabilito che la Costituzione non garantisce il diritto all’interruzione di gravidanza.
Perché si vota oggi
Negli Stati Uniti si vota sempre il martedì che cade tra il 2 e l’8 novembre. Il Congresso stabilì una data unica per tutto il paese nel 1845. La fissò all’inizio di novembre perché veniva dopo il raccolto, ma prima che il clima diventasse troppo freddo. Quanto al giorno della settimana, escluse la domenica perché giorno di festa per i cristiani e il mercoledì in quanto giorno di mercato. Viste le grandi distanze da coprire per raggiungere il seggio nelle zone rurali, si decise di votare il martedì e sfruttare il lunedì per gli spostamenti.
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