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30 settembre 2025

Manager aumentati: l’IA cambia la leadership e riscrive le regole del business

Secondo Fabio Moioli di Spencer Stuart, servono figure empatiche, data driven e critiche
Manager aumentati: l’IA cambia la leadership e riscrive le regole del business

Enzo Argante
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Enzo Argante

Articolo tratto dal numero di settembre 2025 di Forbes Italia. Abbonati!

L’intelligenza artificiale sta permeando ogni aspetto del business: dai modelli decisionali ai cicli di innovazione, dalle priorità organizzative allo sviluppo di nuovi prodotti. Una rivoluzione silenziosa e inarrestabile che impone una profonda riflessione sulle competenze di chi guida le aziende. E quindi: come sta cambiando il volto della leadership? Giriamo la domanda a Fabio Moioli, leadership advisor di Spencer Stuart, esperto dell’impatto dell’IA nel mondo corporate. Per capire come l’intelligenza artificiale sta riscrivendo le regole del c-suite (ceo, cfo, coo), valorizzando la data-centricity e un nuovo umanesimo strategico.

L’IA sta trasformando le aziende. Ma, nello specifico, quali sono le qualità che cercate in un leader?
Qualità come l’integrità, il pensiero strategico, la resilienza e la visione a lungo termine restano i pilastri. Tuttavia, non sono più sufficienti. Oggi il mondo è modellato dai dati, dall’accelerazione digitale e da processi decisionali algoritmici. Questo richiede ai leader un upgrade delle proprie competenze. Il vero cambiamento non è la sostituzione, ma l’aumento: parliamo di una ‘leadership aumentata’, dove l’intelligenza umana viene potenziata, e non rimpiazzata, da quella artificiale.

Qual è la nuova competenza più critica, e forse più sottovalutata, di un candidato per il c-suite?
Senza dubbio la sua relazione con i dati. Nell’era dell’IA, non c’è più spazio per un leader ‘data novice’, un principiante dei dati. Ogni settore e organizzazione genera una quantità enorme di informazioni. Mentre gli algoritmi possono essere replicati, il valore strategico dei dati di alta qualità è un vantaggio competitivo unico e insostituibile. Il ceo del futuro deve saper orchestrare le informazioni provenienti dall’IA con quelle derivanti dall’interazione umana, che resterà sempre cruciale. Il punto non è diventare un data scientist, ma saper porre le domande giuste e connetterle alle priorità di business.

Può farci un esempio concreto di queste ‘domande giuste’? Come verificate questa capacità durante le vostre valutazioni?
Durante i nostri assessment, vogliamo capire come un candidato abbia usato la tecnologia per creare valore. Chiediamo, ad esempio: ‘Quali dati sono fondamentali per il vostro vantaggio competitivo? Come ne garantite l’accuratezza e l’uso strategico? Esiste un modello di data governance solido e trasversale?’. A un cfo potremmo chiedere come ha utilizzato l’analisi dei dati per migliorare le previsioni finanziarie. A un coo, come ha sfruttato i dati per ottimizzare la supply chain. Le risposte rivelano non solo una competenza tecnica, ma una mentalità: la capacità di integrare il pensiero del dato in ogni funzione aziendale. Questo sposta l’intera organizzazione da un paradigma process-centric a uno data-centric.

Cosa si intende per passaggio da process-centric a data-centric?
Nelle aziende tradizionali, il processo è il ‘padrone’ e i dati sono input o output passivi. Questo approccio spesso rinforza la mentalità del ‘si è sempre fatto così”’ Un’azienda data-centric, invece, ribalta l’equazione: i dati diventano il padrone e i processi vengono riprogettati per acquisire, correlare, arricchire e visualizzare le informazioni. Questa è la visione che cerchiamo nei ceo: leader che non si limitano a digitalizzare il passato, ma che ridisegnano l’intera impresa attorno all’intelligence. La qualità e la governance dei dati diventano così il cuore dell’innovazione. Senza governance, non c’è insight. C’è solo rumore.

Con questa enfasi sulla tecnologia, che ne è dell’elemento umano della leadership? Rischiamo di avere leader ossessionati dai dati e privi di empatia?
Al contrario. L’aspetto umano diventa ancora più strategico. L’IA può potenziare la modellizzazione di scenari, il forecasting e il monitoraggio dei kpi, ma il cuore della leadership resta profondamente umano. Decisioni che implicano ambiguità, dilemmi etici e la comprensione profonda della cultura aziendale non possono essere delegate a un algoritmo. È qui che emerge il concetto di augmented leadership. L’IA è un partner che accelera l’insight, ma la responsabilità della decisione finale, etica e ponderata, rimane del leader. In questo contesto, l’empatia diventa una competenza strategica. Permette di ‘sentire’ le dinamiche organizzative, anticipare le resistenze e costruire fiducia in un’epoca di continui cambiamenti. La fiducia è l’àncora di un’organizzazione.

In base alla sua esperienza in Spencer Stuart, se dovesse definire le tre caratteristiche distintive del ceo di oggi, quali sarebbero?
Primo, la curiosità intellettuale: un desiderio inesauribile di apprendere e mettere in discussione le proprie certezze. Secondo, il coraggio trasformazionale: la capacità non solo di adattarsi al cambiamento, ma di progettarlo e guidarlo. Terzo, quella che noi chiamiamo gentilezza autorevole, authoritative kindness: il perfetto equilibrio tra empatia e decisione, fondamentale per costruire una cultura aziendale forte e resiliente. A questi tratti oggi si aggiunge l’imperativo di abbracciare il dato come mattone fondamentale del vantaggio competitivo.

Un’ultima riflessione per i leader che ci leggono?
La vera linea di demarcazione oggi non è tra leader tech-savvy e non. È tra chi possiede una visione digitale – la capacità di anticipare come l’innovazione cambierà mercati e culture – e chi non ce l’ha. Il miglior ceo non si lascia distrarre dal canto delle sirene dell’ultima novità tecnologica, ma si concentra su come usarla per generare valore sostanziale. I leader che daranno forma al futuro saranno quelli capaci di imparare velocemente, porre domande migliori e trasformare l’intelligenza – sia umana che artificiale – in crescita sostenibile.

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