Bruxelles punta alla clausola d’emergenza per usare gli asset russi congelati e garantire il prestito a Kiev, evitando i veti di Budapest e le pressioni Usa.
L’Ue vuole usare una clausola d’emergenza economica per garantire un prestito all’Ucraina, impedendo che finisca schiacciata nella tenaglia di Putin e Trump. È una mossa in bilico tra disperazione e fermezza: serve a confermare le sanzioni alla Russia senza bisogno di un voto unanime, aggirando così il veto ungherese. Le sanzioni a loro volta servono per bloccare gli asset russi congelati in Europa, che l’Ue vuole usare come leva per il finanziamento di Kiev: senza nuovi aiuti l’Ucraina finirà i soldi tra pochi mesi – marzo, aprile, dicono gli analisti – e a quel punto dovrà arrendersi. Il prestito quindi è necessario.
Ma per l’Ue si tratta sul serio di un’emergenza economica? Guardiamo i numeri. La proposta della Commissione europea riguarda 210 miliardi di euro di beni russi congelati, ossia poco più dell’1% del Pil dell’eurozona, che terrebbero a galla Kiev per i prossimi anni. Tanti soldi, certo, ma forse non così tanti da invocare lo stato d’emergenza. Se la difesa di Kiev fosse una questione esistenziale, come dicono molti leader, l’Ue potrebbe usare il proprio budget o fare debito comune.
L’opinione pubblica pesa. E in questi anni di guerra quasi mai abbiamo visto folle scendere in piazza per chiedere ai governi più sostegno al paese invaso dalla Russia. Oggi l’Europa si indigna perché Trump favorirebbe Putin, ma se si guardano i numeri si scopre che il contributo europeo all’Ucraina non è stato davvero all’altezza, e di certo esiste uno scollamento enorme tra fatti e retorica. I sondaggi ci mostrano che la gran maggioranza degli europei è solidale con Kiev, ed è d’accordo nel sostenere la sua resistenza – naturalmente ci sono delle variazioni, gli italiani ad esempio sono più filo russi della media.
Però anche nei paesi più vicini a Kiev gli intervistati esitano quando gli viene chiesto se sarebbero disposti ad aumentare il loro sostegno. Nel Regno Unito molti cittadini giudicano l’aiuto insufficiente, ma solo una piccola minoranza (il 24%, secondo yougov.uk) è pronta a sostenere maggiori contributi nazionali. Questo scarto tra giudizio generale e disponibilità a pagare ricorre in tutta Europa. I politici devono tenerne conto.
Il risultato è che l’Ucraina si avvia a chiudere l’anno con il minor numero di nuovi aiuti dall’inizio dell’invasione. Secondo il Kiel Institute, un autorevole think tank tedesco di analisi economiche, l’Europa ha stanziato circa 30 miliardi di euro in nuove forniture militari: troppo poco per compensare il blocco degli aiuti americani. Allo stesso tempo, le disparità interne all’Europa si sono allargate. Francia, Germania e Regno Unito hanno aumentato sensibilmente i loro contributi, pur restando — in proporzione — sotto i livelli dei paesi nordici. Italia e Spagna, invece, hanno fatto molto poco.
Ecco perché gli asset congelati dei russi diventano così appetibili – una boccata d’ossigeno per l’Europa, stretta tra budget risicati e populisti in ascesa. Il Belgio però si oppone all’impiego dei soldi russi: teme di restare col cerino in mano perché gran parte di quei beni è bloccata a Euroclear, un deposito titoli con sede a Bruxelles. La paura è di doversi fare carico di 185 miliardi di euro, qualora la Russia tentasse di recuperarli dopo la fine delle sanzioni. Ed è così che si arriva alla clausola di emergenza economica, un tentativo estremo di rassicurare le autorità belghe.
L’idea dell’Unione Europea è che Mosca dovrà cedere gli asset congelati come riparazioni di guerra all’Ucraina per ottenere la revoca delle sanzioni. Quindi diventa essenziale poter confermare le suddette sanzioni a colpi di sola maggioranza, disinnescando voti contrari, soprattutto quelli di Orban, l’uomo di Putin nelle istituzioni europee. Basterà a convincere il premier belga? De Wever teme comunque ritorsioni russe. E diversi esperti giudicano traballante la logica giuridica del piano. Non è affatto chiaro che un prestito pari a circa l’1% del Pil del blocco possa davvero costituire un’emergenza economica.
Da ultimo c’è l’ostilità di Donald Trump. L’America non sembra contraria all’uso degli asset russi. Piuttosto vuole appropriarsene e indirizzarli su progetti in Ucraina (e Russia) da cui ricavare profitti. L’altra differenza è che Trump intende sbloccare il denaro di Mosca solo dopo l’accordo di pace, in modo da indebolire l’Ucraina e farle ingoiare un accordo sfavorevole. L’Europa vuole opporsi? Tiri fuori i soldi, in qualsiasi modo, oppure si faccia da parte.