Francia e Italia decisive in Consiglio Ue. Meloni ago della bilancia tra Macron, Coldiretti e un accordo chiave per l’export
I poteri non tanto forti, che in realtà sono fortissimi: gli allevatori – soprattutto di bovini e pollame, soprattutto quelli francesi e italiani. Giorgia Meloni è l’ago della bilancia. Per ora sembra schierarsi con Macron, anche se non è detto che non cambi idea (di nuovo) all’ultimo. Allevatori e produttori di commodity agricole valgono circa l’1% del Pil della Francia (e una quota analoga in Italia), ma stanno spingendo il presidente Macron a rinviare, o forse bloccare, l’accordo di libero scambio con il Mercosur – quattro paesi, Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay che insieme assorbono già quasi 55 miliardi di euro l’anno di esportazioni dell’eurozona, che potrebbero crescere se si abbattessero i dazi.
Uno sbocco importante per l’Unione Europea, specialmente oggi che le tariffe di Trump ostacolano l’export nel mercato americano. E ci sarebbero vantaggi anche per le nostre catene di fornitura: materie prime strategiche, il litio ad esempio, importate in modo più stabile e meno costoso, cosa che ci renderebbe meno dipendenti dalla Cina.
Cosa sta succedendo
La lobby degli agricoltori è organizzata e determinata. Indice scioperi, blocca le strade, scarica letame (in Francia), incendia le balle di fieno (in Francia), e oggi protesta caparbiamente a Bruxelles. Macron, a capo di un governo debole, teme che gli agricoltori si spostino più a destra dando slancio al Rassemblement National nelle elezioni del 2027. Il governo francese quindi chiede alla Commissione Europea di posticipare la firma del trattato; così com’è, secondo Macron, non offrirebbe garanzie sufficienti: gli allevatori di bovini e pollame, i produttori di zucchero e riso hanno paura di venire spiazzati dalla concorrenza a buon mercato dell’America Latina.
Ed è qui che entra in gioco l’Italia. Senza Roma, non ci sarebbero i numeri per bloccare tutto in Consiglio dell’Unione europea, dove votano i governi e per fermare il Mercosur servono almeno quattro Stati che rappresentino il 35 per cento della popolazione Ue. La Francia aveva già il sostegno di Polonia, Belgio, Austria e Ungheria, ma non era abbastanza per spostare l’equilibrio. Con l’Italia sì.
La posizione dell’Italia
Confindustria e il mondo manifatturiero spingono per chiudere l’accordo: macchinari, chimica, farmaceutica, automotive, e l’agroalimentare di qualità – vino, pasta, olio, formaggi – avrebbero tutto da guadagnare dall’abbattimento dei dazi in Sud America. Coldiretti invece è contraria: rappresenta agricoltori e allevatori più esposti alla concorrenza sui prezzi. Anche Meloni chiede più tempo e più garanzie per quest’ultimo gruppo, pur rimanendo in principio favorevole all’accordo. “Tutte queste misure, seppur presentate, non sono ancora del tutto finalizzate. Serve attendere e discuterle con gli agricoltori. Riteniamo che firmare l’accordo nei prossimi giorni sia ancora prematuro”, ha detto.
Clausole di salvaguardia esistono già, ma gli agricoltori vogliono rafforzarle. C’è una regola, ad esempio, per cui i dazi verrebbero alzati di nuovo se in un anno le importazioni di certi prodotti crescessero del 10% con un calo significativo dei prezzi. Gli agricoltori chiedono di ridurre quel margine, e in effetti il Parlamento Europeo in commissione Commercio ha votato per far scendere la soglia al 5% su una media triennale.
Il paradosso
C’è poi chi si spinge ancora oltre: alcuni gruppi di pressione vogliono una reciprocità “piena” degli standard, ossia merce prodotta come in Europa. Il testo oggi prevede che l’export del Mercosur rispetti le norme sanitarie e fitosanitarie dell’Ue, ma non debba per forza conformarsi all’intero modello produttivo europeo. È possibile che una riscrittura in tal senso sia troppo radicale per Brasile e Argentina, la rifiuterebbero, non era stata concordata in anni di negoziato. L’Ue in ogni caso non ci fa una bella figura, cambiando le carte all’ultimo, con il brasiliano Lula che aveva preparato tutto per firmare il 20 dicembre. Se la firma si sposta a gennaio, rischia saltare del tutto. “O ora o mai più”, ha detto Lula.
Dopo 25 anni di trattative l’accordo non era mai stato così vicino. Il paradosso è che i settori agricoli più ostili non sono quelli che trainano l’export europeo, né italiano. In parte è anche uno scontro tra un’agricoltura difensiva, a valore aggiunto più basso, che vive di protezione e quote, e un’altra con margini più alti, tipo vino, olio, formaggi, che vuole esportare e vede nel Mercosur uno sbocco ricco di promesse. Un’UE prigioniera di poteri non tanto forti, ma politicamente potentissimi.
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