Kim Beom-su Kakao
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Saltava i pasti per potersi permettere l’università. Oggi è la persona più ricca della Corea

Il ritratto che il Financial Times gli dedicò nel 2015 si intitola Life of Brian, titolo originale di Brian di Nazareth dei Monty Python. Brian, infatti, è il nome con cui i lavoratori di Kakao, uno dei più grandi gruppi industriali della Corea del Sud, si riferiscono a Kim Beom-su, fondatore e presidente. Nel quartier generale di Jeju City, sull’isola vulcanica di Jeju, a sud della penisola coreana, tutti sono chiamati con il loro soprannome. “È il modo in cui Kim smantella la cultura aziendale gerarchica del suo Paese, in cui”, scriveva il FT, “ci si aspetta che gli impiegati si rivolgano ai superiori solo con la loro qualifica, mai per nome”.

Kim Beom-su è, da qualche giorno, la persona più ricca della Corea del Sud, con un patrimonio stimato da Forbes in 15 miliardi di dollari. Ed è un’anomalia nel gotha dell’economia del suo Paese: un uomo la cui vita rientrerebbe, a Hollywood, nel canone delle storie rags to riches (“dalle stalle alle stelle”, più o meno). Nato nel 1966 in uno dei quartieri più poveri di Seul, era il terzo dei cinque figli di un operaio di una fabbrica di penne e di una cameriera d’albergo, entrambi con istruzione elementare. Fu cresciuto dalla nonna, in un appartamento con una sola camera da letto. Divenne il primo membro della sua famiglia ad andare all’università: per pagare la retta, dava lezioni private e rinunciava a buona parte dei pasti.

Un miliardario self-made nella terra dei “chaebol”

La classifica delle persone più ricche del mondo è oggi popolata da miliardari di origini umili: da Mark Cuban, il proprietario dei Dallas Mavericks, che vendeva sacchi della spazzatura per pagarsi le scarpe, a Zhang Yong, magnate della ristorazione che lavorava come saldatore di trattori; da He Xiangjian, l’agricoltore diventato re degli elettrodomestici, a Herb Chambers, signore del mercato delle auto di Boston, che guadagnò i primi dollari ritirando carrelli nel parcheggio di un supermercato. Se storie come quella di Cuban e Zhang, però, incarnano il sogno americano e il miracolo economico cinese, in Corea del Sud i miliardari self-made sono stati a lungo un’anomalia. L’economia del Paese è infatti dominata da una manciata di conglomerati a gestione familiare: i cosiddetti chaebol.

L’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) spiega che all’inizio degli anni ’60, per ricostruire un’economia distrutta dalla guerra di Corea, il governo militare di Park Chung-hee “favorì la nascita di grandi conglomerati industriali e finanziari”, organizzati “secondo principi di lealtà e integrità ideologica”. I gruppi operavano, in un primo tempo, nel campo dell’industria pesante, ma si allargarono poi ad altri settori. Le chaebol – termine derivato dalla fusione tra jae, “ricchezza”, e bol, “clan” – “ricevevano dallo Stato prestiti e finanziamenti da utilizzare per lo sviluppo delle proprietà attività imprenditoriali”, prosegue l’Ispi. L’aiuto statale “andava così a beneficio di quelle poche famiglie che controllavano i conglomerati”.

Ancora quattro anni fa, secondo i dati di Stratfor, le chaebol controllavano il 77% dell’economia sudcoreana.

“Il periodo più memorabile della mia carriera”

Proprio in uno di quei grandi conglomerati iniziò, nel 1992, la carriera di Kim Beom-su: dopo la laurea e il master in ingegneria alla Seoul National University, fu assunto da Samsung come ingegnere del software, con il compito di sviluppare un servizio di comunicazione online. Se ne andò dopo cinque anni per aprire Mission No. 1, un internet café che sarebbe diventato, in breve, il più grande della Corea del Sud.

Mentre gestiva Mission No. 1, “Kim sviluppava anche programmi software, incluso un sistema di gestione per i computer negli internet café”, racconta il Korea Herald. “Riuscì a vendere il sistema a operatori di internet café di tutto il Paese”.

Erano i primi sintomi di un’ambizione imprenditoriale nata nel 1995, con la lettura di un articolo sui 20 anni della Microsoft. Nel dicembre 1999, Brian lanciò la sua prima avventura imprenditoriale: Hangame, il primo portale internet per videogiocatori in Corea del Sud. “Forniva giochi online immediati e con grafica di qualità”, prosegue il Korea Herald. “Si rivolgeva soprattutto agli adolescenti e ai 20enni che frequentavano gli internet café”. Il numero degli iscritti alla piattaforma cresceva anche di 100mila unità al giorno. Dopo cinque mesi, aveva superato i 10 milioni.

Nel luglio del 2000, Hangame si fuse con Naver, un motore di ricerca, per dare vita a Nhn (Next Human Network), il principale portale internet sudcoreano. Ancora nel 2016, Kim Beom-su definiva i giorni degli internet café e del lancio di Hangame come “il periodo più memorabile della sua carriera”.

Salvato da una poesia

Dopo cinque anni alla guida di Nhn, Kim si trasferì nella Silicon Valley per provare ad allargare l’attività agli Stati Uniti. Dopo due anni di tentativi vani, abbandonò la società. “Una barca è più al sicuro quando si trova dentro al porto, ma non è per questo che è stata costruita”, scrisse nella sua lettera di dimissioni.

Brian ha descritto i suoi anni americani come “un periodo di profonde riflessioni su me stesso”. “Poiché sono cresciuto in povertà, fin dopo i 30 anni ho pensato che la ricchezza fosse il solo parametro per determinare se una persona avesse avuto successo nella vita”, ha scritto. “Tuttavia, dopo avere raggiunto quel benessere economico a cui aspiravo, mi trovai spaesato, senza uno scopo”. Fu allora che si imbatté in What Is Success? (“Che cos’è il successo?”), una poesia di Ralph Waldo Emerson:

… Lasciare il mondo un pochino migliore, si tratti di un bambino guarito,
di un’aiuola o del riscatto da una condizione sociale;
sapere che anche una sola esistenza è stata più lieta
per il fatto che tu sei esistito.
Questo è avere successo.

“Quella poesia mi fece comprendere come avrei dovuto perseguire i miei obiettivi in futuro”, ha raccontato Kim. Sarebbe forse un aneddoto stucchevole, se Brian non avesse preso un impegno coerente: in marzo è diventato il 220esimo firmatario del Giving Pledge di Bill Gates, Melinda Gates e Warren Buffett. Ha promesso, così, di donare in beneficenza almeno la metà del suo patrimonio.

Ispirato dall’iPhone

Oltre a riflessioni, letture e delusioni professionali, i giorni di Kim nella Silicon Valley portarono anche l’ispirazione per la sua successiva e più importante avventura imprenditoriale. Il 9 giugno 2007 arrivava sul mercato il primo iPhone: Kim ne rimase folgorato e mise assieme un team per sviluppare applicazioni. Quando lo smartphone di casa Apple sbarcò in Corea del Sud, nel novembre 2009, Brian preparava potenziali app già da due anni.

Nel 2010 Kim lanciò allora KakaoTalk: un servizio di messaggistica che otto anni più tardi, secondo un analista citato da Forbes, contava già 45 milioni di utenti e deteneva una quota di mercato vicina al 95%. Negli anni successivi, Kakao si è allargata tramite fusioni e acquisizioni con oltre 100 società. Kim, scrive ancora Forbes, ha “portato quella base utenti su altri fronti, come la pubblicità, l’e-commerce, le mappe, i giochi e i servizi finanziari”. Fino agli webtoon, i cartoni digitali.

L’operazione più ambiziosa resta probabilmente quella con cui, nel 2014, Kim acquistò Daum, la società del secondo motore di ricerca più utilizzato nel Paese. Quando, nello stesso anno, il governo di Seul qualificò Kakao come “grande società”, la creatura di Brian diventò la prima startup tech a entrare nella stessa categoria di chaebol come Samsung, Hyundai, Sk e Lg.

Dove va Kakao

Il 20 giugno, il Korea Times scriveva che Kakao è il quinto conglomerato della Corea del Sud per capitalizzazione di mercato (circa 74mila miliardi di won, pari a 65,2 miliardi di dollari: più del quintuplo rispetto alla fine del 2019). Tre giorni più tardi Forbes annunciava il sorpasso di Kim Beom-su ai danni di Seo Jung-jin, co-fondatore dell’azienda biofarmaceutica Celltrion, in vetta alla classifica dei coreani più ricchi, grazie alla crescita del 110% del titolo di Kakao rispetto all’inizio dell’anno. Lo stesso articolo, con l’aiuto di vari analisti specializzati sul mercato asiatico, ha riassunto le mosse più significative compiute negli ultimi mesi da Kakao e ha provato a delineare le strategie future.

Kakao Games è sbarcata in Borsa a settembre e ha raccolto circa 320 milioni di dollari. Kakao Bank potrebbe invece approdare in Borsa già a luglio e raccogliere 1,8 miliardi di dollari. Presto potrebbe poi toccare alle Ipo di Kakao Entertainment, una società di mass media, e Kakao Mobility, il ramo dedicato ai servizi di mobilità. Nyunsoo Na, della società di ricerca Idc, ritiene probabile anche una sfida ad Amazon Web Service e Microsoft nel campo delle strutture b2b2c (business to business to consumer).

Dongkeun Yi, analista di Counterpoint Research, è convinto che l’obiettivo finale sia quello di “costruire un ecosistema completo come quello di WeChat in Cina”. E proprio alla Cina è legata una delle più importanti partnership sottoscritte da Kakao: secondo un’analisi Gartner, per il gruppo di Kim Beom-su è stata cruciale la collaborazione con Ant Group – il braccio fintech della Alibaba di Jack Ma – per il servizio di pagamento Kakao Pay. Ant avrebbe infatti fornito un aiuto decisivo su tecnologie come i QR code e il riconoscimento facciale.

La nuova Corea

Nell’ultimo anno, Kim Beom-su e gli altri miliardari coreani hanno visto i loro patrimoni aumentare, nel complesso, del 40% circa, anche grazie alla risposta efficace alla pandemia del governo di Seul. Nel 2020, il Pil della Corea del Sud si è contratto infatti dell’1% soltanto, il miglior dato tra tutti i paesi Ocse. Per un confronto, quello cinese è cresciuto del 2,3%, ma gli Stati Uniti hanno perso il 3,5%, il Giappone il 4,8%, la Germania il 5,3%. “L’indice di Borsa di riferimento è cresciuto di più del 30%, la seconda migliore performance a livello globale e la migliore in Asia”, aggiunge Forbes.

Lo stesso articolo rileva anche come Brian abbia saputo sfruttare una nuova apertura dell’economia del Paese. “Sei dei 12 unicorni sudcoreani si preparano a un’Ipo entro quest’anno”, si legge. “Nuove fortune self-made” stanno nascendo in “nuovi settori economici come l’e-commerce, l’intrattenimento e il gaming”. Nel 2021, per la prima volta dal 2005, quando Forbes ha iniziato a stilare la classifica dei coreani più ricchi, un miliardario self-made ha occupato il primo posto.

Il miliardario gamer

Le giornate dell’uomo più ricco della Corea iniziano sempre con una doccia che può durare anche un’ora. “Quando faccio la doccia o vado a fare una passeggiata, ho il tempo per riflettere”, ha detto Kim alla Cnbc. “Tra tutte le mie abitudini, è quella che considero più importante. È proprio in quei momenti che riesco a organizzare i miei pensieri, alcune cose mi diventano chiare e nascono nuove idee”.

A 55 anni, Brian non ha ancora rinunciato ai suoi videogiochi. Al contrario, ha trascinato nella sua passione anche la moglie e i due figli. E anche se ha dichiarato al Financial Times che “la sua vita sarebbe probabilmente finita male se i videogiochi fossero esistiti quando era piccolo”, è convinto che le console siano molto più di un passatempo. “Quando combatti contro i tuoi nemici o per salvare il tuo castello”, ha detto, “sviluppi capacità che ti permettono di risolvere problemi, impari a sviluppare strategie creative e a cooperare con altri”.

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