DOOM – scritto così, tutto maiuscolo – DOOM II e DOOM 3 sono arrivati su Nintendo Switch, la console ibrida della casa di Kyoto. Lo hanno fatto a sorpresa, la settimana scorsa durante la Quakecon, come tipico di id Software – lo studio che pubblicò la saga a partire dal 1993 – e di Bethesda, editore e proprietario dell’azienda (a sua volta parte di ZeniMax Media). I tre titoli costano venti euro se comprati insieme, o dieci se si volesse acquistare solo i primi due. La separazione dal terzo è sensata, ne scriveremo fra qualche riga.
Se la notizia dell’arrivo su tutti gli store digitali – sì, la trilogia è anche disponibile per Ps4 e Xbox – non vi ha fatto percepire un tremito nella Forza, significa semplicemente che non siete vecchi videogiocatori incalliti né giovani amanti del retrogaming. Per comprendere la portata della buona novella conviene allora tornare indietro nel tempo, più precisamente al 1995, due anni dopo l’uscita del primo DOOM. In pratica, nel pieno della rivoluzione che proprio quel videogioco, all’apparenza troppo violento per l’epoca, stava provocando: uno tsunami destinato ad arrivare fino a oggi.
In quei giorni, Alex St. John, lo stratega della divisione grafica di Microsoft, si trovava nel suo ufficio quando ricevette una email da Bill Gates relativa al videogame di id Software. Correva voce che la versione shareware di DOOM, quella scaricabile gratuitamente, fosse installata su dieci milioni di computer in tutto il mondo, più di quelli su cui girava il nuovo sistema operativo della compagnia, Windows 95. Microsoft aveva investito una vagonata di milioni per promuovere Windows; gli Stati Uniti erano stati tappezzati con cartelloni pubblicitari che chiedevano “Dove vuoi andare oggi?”.
Per questo Gates domandava a St. John come avesse fatto il videogioco di una piccola azienda di Mesquite, dei soci John Carmack e John Romero, ad avere più successo della sua poderosa campagna. In più, da imprenditore già navigatissimo, chiedeva a St. John se fosse saggio acquisire in toto id Software. Non che Gates l’avesse scoperta in quell’occasione: qualche anno prima, dopo aver visto un paio di lavori di Carmack e Romero e soprattutto giocato al loro Wolfenstein 3D, li aveva contattati personalmente per chiedere come riuscissero a far fare ai suoi computer cose che nemmeno lui aveva immaginato potessero fare. Con DOOM, però, la questione era diversa: non si trattava più solo di una meraviglia per addetti ai lavori. DOOM, e Gates l’aveva intuito subito, avrebbe cambiato per sempre i videogiochi e, forse, l’informatica tutta.
Aveva ragione: oggi, venticinque anni dopo, il ritorno su ogni console di ultima generazione della trilogia classica mantiene il sapore dell’evento. Il che non toglie che Gates non riuscì mai ad incorporare id Software: troppo lento lui – nel momento in cui si interessò all’azienda, la coda di chi l’aveva già fatto era lunga – si sarebbe comunque scontrato con lo spirito punk di Carmack, Romero e soci, unicamente interessati a sviluppare videogame in grado di spingere la tecnologia dove nessuno avrebbe osato e, soprattutto nel caso di Romero, a far divertire una massa crescente di videogiocatori. Se possibile con una dose massiccia di ultra violenza e un bel po’ di decibel heavy metal.
Questo era ed è DOOM: un first person shooter che all’estetica da Grand Guignol futuristico e alla storia funzionale al massacro in pixel – le vicissitudini di un marine spaziale finito alle porte dell’inferno fra le lune di Fobos e Deimos – aggiungeva una mole di innovazioni tecniche destinate a diventare tavole della legge. A partire da un uso della grafica tridimensionale allora mai visto.
Non è un caso che le copie vendute sforarono i due milioni, mentre quelle in shareware, con buona pace di Gates e del suo Windows, alla fine superarono i 15, numeri impressionanti ancora oggi. Men che meno è casuale che anche le altre copie del gioco, nel senso delle sue imitazioni, divennero un fiume in piena: solo nei mesi appena successivi all’uscita i cloni di DOOM presero a riempire gli scaffali. Si andava da Dark Forces, uno shooter ambientato nel mondo di Guerre Stellari prodotto nientemeno che da LucasArt, a Descent uno sparatutto aereo di Interplay, fino a Marathon, un titolo per Macintosh sviluppato da una piccola azienda chiamata Bungie, attuale colosso che proprio sull’evoluzione dei “Doom clone” costruì anni dopo l’impero di Halo – il videogame simbolo di Microsoft – e quello di Destiny.
Ma le cifre dicono poco della piccola grande rivoluzione attuata dalla saga di id Software. Da DOOM i first person shooter, i cosiddetti “sparatutto”, ereditarono i connotati che conservano tuttora. Grazie a DOOM nacquero il gergo e alcune delle modalità di gioco oggi più battute, si pensi ai “deathmatch”, la declinazione videoludica del “ne rimarrà soltanto uno”.
Soprattutto però, e in maniera sorprendete vista la dose di violenza visiva, con DOOM l’intero settore incise un segno grosso così nella fantasia collettiva, anche in quella di coloro che con i videogiochi avevano poco o nulla a che spartire: del videogame e del suo protagonista, Doomguy, si trovano tracce e citazioni in E.R. Medici in prima linea, in Friends, nei Griffin, in film come Elephant o Congo e, giusto per rimanere più vicini a noi, anche nel Frankie Hi-Nrg di Quelli che benpensano.
Last but not least, fu proprio DOOM a inaugurare i modi e la passione per la competizione (e la cooperazione) online, un universo nuovo da condividere sfoggiando il meglio di sé in gare all’ultimo click, lo stesso mondo – mutatis mutandis – che negli anni si è trasformato nell’esport, scrigno di intrattenimento e denaro che qualche giorno fa ha visto un ragazzino di 16 anni, Kyle “Bugha” Giersdorf, aggiudicarsi il titolo di primatista mondiale di Fortnite e i tre milioni di dollari annessi.
La conversione per Nintendo Switch è quindi una celebrazione e insieme un furbo escamotage pubblicitario per DOOM Eternal, il nuovo capitolo della saga atteso il prossimo 22 novembre.
Il porting, vale a dire l’operazione di “adattamento”, soffre parecchio nel caso dei primi due capitoli, a cura di Nerve Software. Al contrario si supera per DOOM III, firmato dai talentuosi Panic Button – ecco il perché delle vendite separate: il suo framerate rimane fisso sui 60 fotogrammi al secondo sia che si giochi con la console in versione desk (in questo caso con una qualità video di 1080p), sia in modalità portatile (720p).
Fidatevi, giocare ai classici DOOM in spiaggia – sebbene fino alla patch richiesta a gran voce sarà possibile farlo solo connettendosi a internet e creando un account su Bethesda.net –, ebbene, giocare a DOOM a pochi metri dal mare e con l’indomito spirito sci-fi-metal a far da contrasto al rumore calmo delle onde, farà delle vostre vacanze qualcosa di surreale. Un’estate da giorno del giudizio.
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