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Mario Moretti Polegato: “La creatività italiana deve sapersi trasformare in impresa”

Mario Moretti Polegato (Courtesy Geox)

Articolo tratto dal numero di maggio di Forbes Italia

Folgorato sulla via del deserto, Mario Moretti Polegato, classe 1952, diventava il signor Geox. La storia è nota. Nel Nevada per seguire un evento del vino, fa una passeggiata nel deserto. Il caldo è tremendo, bollore ai piedi, “con un coltellino svizzero feci un buco nelle suole. Rientrato in Italia, iniziai a riflettere sulla tecnologia che avrebbe potuto risolvere il problema della traspirazione”. Individuava la soluzione e nascevano le scarpe Geox, traspiranti e impermeabili, prodotte in un’azienda, nel trevigiano, che ora conta 30mila dipendenti, di cui 1.700 in Italia, e mille negozi in 115 paesi. 1,3 miliardi di dollari fa del signor Geox uno dei miliardari italiani. Assiduo frequentatore dei Forbes Global Ceo Conference, Moretti Polegato è spesso l’unico imprenditore a issare la bandiera italiana. “Conosco Steve Forbes da anni, mi è stato vicino in tutta l’evoluzione dell’azienda, dandomi coraggio. Indossa solo le nostre scarpe, e lo fa con convinzione perché ama la tecnologia e l’innovazione. Ogni tanto mi arrabbio con lui perché alle conferenze vuole sempre che racconti la storia del coltello. Io vorrei intervenire anche su altri argomenti, ma la mia vicenda piace, ricorda il sogno americano: l’idea tradotta in progetto. E comunque sono fiero di ricordare che l’Italia ha tante eccellenze in campo tecnologico, sento di portare un’immagine più completa del nostro paese. Capita spesso che ai vari forum, compreso Davos, mi chiedano stupiti: sei italiano? Certo che lo sono. Italia è anche sinonimo di tecnologia all’avanguardia, e lo dobbiamo sottolineare sempre di più” racconta. E aggiunge: “Quando scopro che al comando di multinazionali straniere di successo ci sono italiani, mi rabbuio. Cosa c’è che non va? Perché queste persone non sono riuscite a esprimersi in Italia?”.

Ama l’Italia e in particolare il suo Veneto. Lo ha dimostrato anche donando un milione di euro per far fronte all’emergenza sanitaria dettata dal coronavirus. “In questo momento storico di estrema emergenza è un dovere morale sostenere i nostri medici e infermieri, ogni giorno in prima linea, nella lotta contro un nemico invisibile eppure tanto temibile che ci rende tutti uguali, vulnerabili, inermi. Con questo gesto abbiamo voluto esprimere la nostra vicinanza e sostegno a tutte le singole persone, e alle loro famiglie, in sofferenza per il virus”, ha dichiarato Moretti Polegato che non ha voluto esprimersi sull’efficacia, o no, dei vari decreti, su proiezioni post-covid. “Una cosa è certa. Dobbiamo tenere duro e rispettare scrupolosamente i divieti. Solo così, con un comportamento responsabile, riusciremo a sconfiggere il male e a tornare presto alle nostre vite. Stiamo attraversando una crisi durissima ma sono certo che rinasceremo, più forti di prima”.

Dopo essere stata nella Formula 1, ora Geox è passata alla Formula E, in partnership con la scuderia americana Dragon di Jay Penske. Un’azienda di scarpe e abbigliamento cosa c’entra con i motori? “Anzitutto sono motori elettrici, ed è in questa direzione che bisogna andare: sostenibilità, un termine chiave anche per Geox che fin dal nome esprime il legame con la terra (Geo) e la tecnologia (x)”. Inoltre, rispondere alla richiesta di alte prestazioni dei piloti spinge ulteriormente a sviluppare la tecnologia da applicare ai loro prodotti. “Il 95% dell’umanità usa suole di gomma e non di cuoio. Sfruttando una serie di brevetti italiani, siamo gli unici nel mondo a fornire un certo tipo di prodotto. Ma dobbiamo continuare a innovarci. Lavorando con piloti, per esempio, siamo arrivati alla soluzione delle scarpe Aerantis. L’Italia è il paese della scarpa bella, d’alta moda. È il sogno di tanti indossare scarpe italiane. Ma dobbiamo guardare al futuro perché presto non sarà più sufficiente offrire un bel manufatto, dovrà anche essere tecnologicamente avanzato. L’italianità va salvaguardata, però non basta”, spiega l’imprenditore che da anni conduce una battaglia per la difesa della proprietà intellettuale. Va nelle università e insiste sul tema: “In questo paese abbiamo inventato grandi cose, faccio esempi banali: la pizza e il caffé espresso. Ma Starbucks e Pizza Hut sono americane, con migliaia di negozi nel mondo. Negli ultimi trent’anni, il nostro sistema economico ha lasciato ad altri una serie di occasioni. Conta avere un’idea, ma è poi determinante saperla promuovere, difendere, tradurre”. Insomma, in Italia abbiamo un’alta concentrazione di persone che creano, lo spirito creativo è nel nostro dna. “C’è però un problema di fondo”, commenta. “La grande capacità inventiva non è accompagnata dalla cultura di gestione del patrimonio. La questione del brevetto è ancora un tabù. La gente è intimidita. Quanto costa? è la prima domanda.  Dopo aver creato il brevetto, il tuo prodotto difficilmente funziona perché essendo nuovo ha bisogno di sperimentazione. Se non c’è sperimentazione poi si brucia. Spesso l’inventore non ha laboratori e centri di ricerca a disposizione, ma ci si può appoggiare alle università. Qui sta il nodo della questione: trasformare un’idea empirica in un progetto”.

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