Andrea Orcel, ad di Unicredit
Leader

In Unicredit inizia l’era di Andrea Orcel, la storia dell’ad definito il CR7 dei banchieri

Articolo di Andrea Giacobino apparso sul numero di aprile 2021 di Forbes Italia. Abbonati!

“Ciao, sono io”. Chissà se il prossimo 15 aprile quando Andrea Orcel si insedierà alla guida di Unicredit chiamerà il suo predecessore Jean Pierre Mustier per salutarlo con la semplice frase che da sempre usa per trattare con i grandi banchieri di mezzo mondo. Perché l’ultima eredità che gli ha lasciato l’ex paracadutista francese atterrato cinque anni fa sul grattacielo di Piazza Gae Aulenti è pesantissima, avendo lasciato la banca con una perdita di quasi 2,8 miliardi di euro nel 2020. 

Da Il CR7 dei banchieri a Il banchiere d’acciaio. Quando il 26 gennaio, mentre Giuseppe Conte saliva al Quirinale per rassegnare le dimissioni da Palazzo Chigi nelle mani del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, s’è diffusa la notizia che di lì a ventiquattro ore il consiglio d’amministrazione di Unicredit avrebbe indicato Orcel quale futuro amministratore delegato, i nomignoli elogiativi del nuovo capo dell’istituto di Piazza Gae Aulenti hanno cominciato a fioccare su tutta la stampa italiana. Nessuno, improvvisamente, ha più ricordato che Orcel era stato definito anche l’ultimo dei Mohicani per aver difeso a spada tratta il sistema dei bonus plurimilionari ai banchieri d’affari, o che l’acquisizione di Abn Amro da parte di Fortis, Rbs e Santander da lui orchestrata quando era in BofA Merrill Lynch è stata definita “disastrosa” da The Telegraph mentre Institutional Investor ha etichettato il nuovo capo di Unicredit come “uno dei banchieri più controversi della crisi finanziaria” del 2008. 

Nessuno, poi, ha ricordato che Orcel guiderà una banca chiamata dal governo dimissionario a sposare il disastrato Monte dei Paschi di Siena. Quel Monte statalizzato perché azzoppato fin dal 2007 dalla disastrosa acquisizione di Antonveneta che proprio Orcel, sempre come BofA Merrill Lynch, consigliò a Giuseppe Mussari, allora presidente di Mps, strapagando 9 miliardi di euro più 7 miliardi di debiti per quella banca che lo stesso Orcel, questa volta come consulente del Santander, aveva fatto comprare all’istituto guidato da ‘Don’ Emilio Botín per 6,6 miliardi. 

Resta il fatto che se Orcel, più volte candidato alla guida di Unicredit, questa volta ce l’ha fatta una ragione c’è. Anzi, più di una. La prima è sicuramente costituita dal forte appoggio che la sua candidatura ha avuto da alcuni soci forti della banca: primi fra tutti le fondazioni Crt e Verona che già provarono a portare Orcel in Unicredit nel 2010. A questi soggetti istituzionali si sono aggiunti molti fondi internazionali che hanno gradito il profilo di un banchiere d’affari e last but not least la sponsorizzazione di Leonardo Del Vecchio, il patron di LuxotticaEssilor che non gradisce il matrimonio con Mps. In questo senso fino al 15 aprile, data in cui l’assemblea degli azionisti di Unicredit ratificherà la sua nomina a capoazienda, Orcel avrà tempo prima di insediarsi di fare due cose fondamentali: radiografare punti di forza e punti di debolezza di Unicredit magari preparando qualche cambiamento nella prima linea di management e nominando un suo direttore generale di fiducia e, soprattutto, verificare se il matrimonio con Mps è davvero conveniente e se avviene a impatto zero sul capitale. Se c’è un motivo per cui se anche questa volta i soci di Unicredit hanno scelto un altro banchiere d’affari è perché Orcel è sicuramente molto più bravo di Mustier anche se, esattamente come il suo predecessore, non ha mai gestito nemmeno uno sportello. E quindi potrebbe, se non riuscisse o volesse concretizzare il matrimonio col Monte, a trovare altre strade di crescita. Dove? L’ipotesi più ridotta è quella dell’aggregazione col BancoBpm, quella più ambiziosa porta fino a Mediobanca e tramite Piazzetta Cuccia nientemeno che a un maxipolo con Assicurazioni Generali di cui anche Del Vecchio è socio pesante. Nessuno si stupirebbe, poi, se Orcel fosse, in alternativa, il ‘cupido’ di Unicredit per un matrimonio transnazionale con qualche grande banca straniera.

Del resto il nuovo capo di Unicredit ha costruito tutta la sua carriera all’estero fin da quando è arrivato nel 1988 alla Goldman Sachs di Londra, per trasferirsi poi a Parigi come consulente senior di Boston Consulting Group dal 1989 al 1992 e tornare poi nella capitale britannica all’interno della banca americana Merril Lynch, acquistata nel 2009 da Bank of America che l’ha salvata così dal fallimento toccato invece l’anno prima alla concorrente Lehman Brothers. È nei vent’anni londinesi di BofA Merril Lynch che Orcel ha realizzato le sue grandi operazioni come banchiere d’affari, che gli hanno permesso di incassare bonus milionari: agendo sempre e solo come ‘consulente’ di altri banchieri che volevano comprare o vendere altre banche. 

Nel 1998 ha infatti orchestrato la fusione da 25 miliardi di euro del Credito Italiano e Unicredito Italiano nell’Unicredit che poi, sempre con la sua consulenza, ha acquistato Capitalia. Ed è lì che il banchiere ha stretto quella forte amicizia con Alessandro Profumo che quando si spostò da Unicredit al Monte lo volle nel 2013 (nel frattempo un anno prima Orcel era emigrato in Ubs a guidare l’investment banking) per mettere in piedi il maxiaumento di capitale di 13 miliardi di euro. Sempre nel ventennio londinese Orcel è stato a fianco del Santander di Botín nell’acquisto di Abbey National, nella già ricordata operazione Abn Amro, nello shopping di Alliance & Leicester prima e di Sovereign Bank poi. 

Il testo della storia professionale di Orcel lo ha visto approdare in Ubs nel 2011 chiamato dall’allora numero uno Sergio Ermotti, anche lui un ex Merrill Lynch e un ex Unicredit, da cui è uscito improvvisamente a settembre del 2018 convinto che Ana Botín, figlia del defunto Emilio subentrata alla guida del Santander, gli avrebbe affidato la guida del colosso bancario spagnolo. Ma il dealmaker per una volta aveva fatto i conti senza l’oste. Il consiglio d’amministrazione dell’istituto iberico si oppose e Orcel – che pure ha chiesto agli spagnoli un risarcimento di 100 milioni di dollari – era rimasto a piedi. Almeno fino a quest’anno. 

Grande forza di volontà e grande disciplina che applica anche nel suo quotidiano esercizio fisico e nella sveglia all’alba. Sono le doti che hanno portato Orcel nell’olimpo dei grandi banchieri. Nato il 14 maggio del 1963 a Roma da un siciliano che si occupava di leasing, figlio a sua volta di Giuseppe Orcel, primo direttore generale della Cassa del Mezzogiorno e dalla madre toscano-francese che lavorava per le Nazioni Unite, è stato spinto fuori dal nostro Paese fin da quando nella Capitale ha frequentato il liceo francese Chateaubriand su decisione della madre, per poi laurearsi in economia e commercio con lode alla Sapienza con una tesi sulle acquisizioni ostili. Da lì alla business school Insead a Fontainebleau in Francia e poi, appunto, Londra dove a Kensington si trova la sua lussuosa casa. Sposato nel 2009, dopo 16 anni di fidanzamento, con l’interior designer ed ex dipendente di British Airways, la portoghese Clara Batalim da cui ha avuto la figlia, Orcel che ha un cucciolo di husky di nome Flash, parla correntemente cinque lingue (italiano, francese, inglese, tedesco e spagnolo). 

C’è, infine, un’altra caratteristica che ha decretato il successo di Orcel: il suo bell’aspetto, l’eleganza del portamento e il fatto che guarda sempre dritto negli occhi il suo interlocutore. “Sono perfetto? No, non lo sono”, ha detto di sé. “Ricordo sempre che quand’ero ragazzo mio padre mi diceva: ogni mattino quando ti alzi e ti guardi allo specchio mentre ti radi, non puoi nasconderti. Puoi vivere con chi vedi riflesso? Perché tu sei il miglior giudice di te stesso”. 

Dal 15 aprile, c’è da giurarci, Orcel si guarderà allo specchio con più attenzione al mattino per scoprire se è capace di cambiare il destino di una delle più grandi banche italiane, e questa volta dall’interno.  

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