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Rientro in ufficio: Italia flessibile sul lavoro ibrido. Ma i dipendenti non sono ancora soddisfatti

Come si sta trasformando il posto di lavoro in Europa? Come i datori di lavoro si stanno avvicinando ai piani di rientro in ufficio? Quali saranno i nuovi modelli di lavoro? Per rispondere a queste domande Littler, studio specializzato in diritto del lavoro, ha pubblicato la quarta edizione dell’indagine annuale European Employer Survey, che ha coinvolto più di 530 dirigenti delle risorse umane, avvocati interni e leader aziendali con sede principalmente in Europa occidentale e meridionale. L’indagine ha messo in evidenza il gap tra i desideri dei dipendenti e i modelli di lavoro ibridi proposti.

Piani di rientro in ufficio: in Italia c’è molta flessibilità

Nonostante i nuovi focolai provocati dalla variante Delta, a fine settembre il 52% degli intervistati stava proseguendo il programma di rientro in ufficio o stava pianificando di farlo, mentre il 36% del campione dichiarava un ritardo, con il 18% che si aspettava di prolungarlo fino al 2022. Queste decisioni sono probabilmente guidate da una serie di fattori, tra cui le politiche dei diversi governi a garanzia della sicurezza sul posto di lavoro ed il vaccino ormai somministrato al 70% degli adulti nell’Unione europea.

“In generale, i datori di lavoro europei si sono mostrati impazienti nel far rientrare i dipendenti in ufficio”, commentano Carlo Majer ed Edgardo Ratti, managing partner di Littler in Italia. “Tuttavia, in parallelo al proseguimento dei piani di rientro in ufficio, notiamo anche in Italia una grandissima attenzione nel muoversi in uno scenario che questa pandemia continua a rendere mutevole ed incerto. I datori di lavoro sono impegnati a garantire flessibilità e sono concentrati nell’adeguare i loro piani in base alle evoluzioni della situazione”.

Esistono differenze tra i vari paesi europei, ad esempio Italia e Francia – in percentuale maggiore, rispettivamente pari al 65 e al 62% – si stanno muovendo più celermente con piani di rientro in ufficio, rispetto, ad esempio, alla Germania, dove solo il 28% delle aziende ha attuato programmi in questa direzione.

I modelli di lavoro non soddisfano le preferenze dei dipendenti

Tuttavia, mentre le aziende adottano piani per il rientro in ufficio, in parallelo si accendono tensioni per un divario rispetto alle preferenze dei dipendenti tra lavoro a distanza e in presenza. Solo il 28% degli intervistati ritiene che i modelli di lavoro offerti dalla propria organizzazione sia in linea con le preferenze dei dipendenti che possono lavorare da remoto. La maggior parte dei datori di lavoro (52%) ritiene che i dipendenti preferiscano modalità di lavoro ibride o da remoto in misura maggiore rispetto a quanto richiesto. E questa percentuale è ancora più alta per gli intervistati nel Regno Unito, in Germania e in Spagna.

I datori di lavoro in tutta Europa riconoscono il ruolo del lavoro a distanza o ibrido per motivare i dipendenti, citando la soddisfazione sul lavoro (57%), il benessere dei dipendenti e un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata (54%) come i principali benefici dell’offerta di questi modelli. Consentire una maggiore produttività (34%), ridurre i costi degli uffici fisici (31%) e di altri costi aziendali (20%) – che riguardano aspetti utili a migliorare il business in generale – si sono classificati significativamente più in basso.

“Nell’ultimo anno, i datori di lavoro hanno iniziato a considerare i modelli di lavoro ibridi sempre meno come un’opportunità per migliorare l’efficienza o tagliare i costi e sempre più, invece, come un modo per attrarre nuovi dipendenti e mantenere la soddisfazione di quelli attuali”, continuano Majer e Ratti. “Questo è un cambiamento reale e positivo. Andando avanti, tuttavia, sarà cruciale arrivare a trovare il giusto equilibrio tra il benessere dei dipendenti e le numerose sfide legate ad aspetti logistici, legali e culturali che questi nuovi modelli possono presentare”.

Il benessere dei dipendenti è importante, ma c’è spazio per migliorare

Quasi tre quarti degli intervistati (73%) sono preoccupati in larga o moderata misura dell’impatto che la pandemia potrà avere sul benessere psicologico dei dipendenti. Alla domanda su quali siano le risorse per favorire l’equilibrio psicofisico dei dipendenti, la risposta principale, scelta dal 53% degli intervistati, ha riguardato la proposta di orari di lavoro flessibili. A seguire, scelte da meno di un terzo degli intervistati, sono risultate altre opzioni, come la formazione per i manager, i piani di welfare per i dipendenti e la programmazione interna.

“È un segnale positivo che i datori di lavoro stiano davvero riconoscendo l’importanza del benessere dei dipendenti e la pandemia ha contribuito ad accelerare queste riflessioni” commenta Stephan Swinkels, coordinating partner international di Littler. “Quest’aspetto diventerà sempre più prioritario negli ambienti di lavoro del futuro, anche come leva per attrarre e trattenere i talenti in azienda. Offrire orari di lavoro flessibili è un grande passo, ma quest’azione dovrebbe essere accompagnata da altri strumenti o benefit, come la formazione e la programmazione interna, per offrire una soluzione più completa”.

Trasformazione digitale: nuove sfide per le aziende e per i dipendenti

La pandemia ha aperto la strada alla trasformazione digitale nelle aziende e i datori di lavoro di tutta Europa si stanno organizzando per far acquisire ai dipendenti le competenze necessarie per adeguarsi agli ambienti di lavoro del futuro. Circa la metà (48%) sta sviluppando programmi di formazione interna, mentre il 35% sta conducendo analisi per identificare nuovi set di competenze e guidare la pianificazione dei talenti e la formazione sul lavoro.

In parallelo, la situazione di emergenza sembra aver bloccato gli investimenti in soluzioni di Intelligenza Artificiale o di analisi dei dati che migliorerebbero la gestione della forza lavoro. In ogni area toccata dal sondaggio – inclusa la strategia HR e la gestione dei dipendenti, l’automazione della forza lavoro, il reclutamento e l’assunzione – l’adozione di queste tecnologie è rimasta relativamente stagnante rispetto al periodo precedente alla pandemia quando agli intervistati è stata posta la stessa domanda.

Riduzioni della forza lavoro? In gran parte sono state evitate

Nonostante dall’edizione 2020 della ricerca  fosse emersa una grande preoccupazione da parte dei datori di lavoro rispetto all’incapacità di evitare tagli di personale, quest’anno il 60% degli intervistati ha dichiarato di non aver effettuato riduzioni o riorganizzazioni della forza lavoro e il 41% non prevede di farlo. E mentre un altro 40% ha operato tagli o riorganizzazioni, circa la metà (18%) non prevede ulteriori cambiamenti.

“I programmi di sostegno del governo hanno salvato milioni di posti di lavoro in Europa durante la pandemia, e i dati della nostra indagine confermano l’efficacia di questi sforzi. Allo stesso tempo, la percentuale di aziende che considera la possibilità di operare riduzioni o riorganizzazioni della forza lavoro ci dice che le conseguenze della pandemia non sono ancora passate” aggiungono Majer e Ratti. “Le decisioni che i dirigenti HR prenderanno per strutturare le loro attività a lungo termine e la fine dei sussidi governativi continueranno a trasformare il mondo del lavoro in tutta Europa nei mesi a venire”.

Accanto a questi temi, il report include aspetti legali e di gestione delle risorse umane che possono avere un impatto sugli ambienti di lavoro in futuro, tra cui le nuove precauzioni di sicurezza, le politiche sui vaccini, le azioni per sostenere l’inclusione, l’equità e gli obiettivi di diversità, e la gestione dei lavoratori che operano da un paese diverso, fornendo al contempo focus specifici su Regno Unito, Germania, Francia, Spagna e Italia.

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