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Non solo hamburger vegetali: finiremo davvero per mangiare carne coltivata in laboratorio?

Articolo apparso sul numero di febbraio 2022 di Forbes Italia. Abbonati!

Lo scoppio della pandemia ha accelerato alcune tendenze dell’industria alimentare. Molti stanno virando verso consumi più salutari e sostenibili, allontanandosi dalle inquinanti (e poco efficienti) pratiche di allevamento intensivo. Aziende come Beyond Meat e Impossible Foods stanno scommettendo sul settore della carne a base vegetale, che però sforna prodotti ancora troppo costosi. Altri, invece, coltivano carne vera e propria direttamente in laboratorio. Un mercato controverso ma che potrebbe valere 1,66 miliardi di dollari nel 2031. Ma la di là degli aspetti economici e delle questioni etiche, il grande pubblico saprà “digerire” queste innovazioni?

Otto giorni d’inferno – febbre, tosse, emicranie, dolori insopportabili alle ossa; al nono giorno, era il marzo 2020, il suo medico gli ha diagnosticato il Covid, il ceppo iniziale proveniente da Wuhan. David Cole, direttore marketing di una società di profumi di New York, sportivo, uomo di mezza età però asciutto come un ventenne, ci ha messo un paio di settimane a guarire dal coronavirus. Quarantena e convalescenza in un appartamento di Brooklyn. Chiuso in casa allietava la routine dedicandosi al cibo. In un batter d’occhio i fattorini dell’app Gorillas gli portavano la spesa sull’uscio. Il manager Cole si era appassionato ai bucatini all’amatriciana (e tutt’oggi li adora). La pancetta però era introvabile (o assurdamente costosa), e così dovette adattare la ricetta sostituendo il maiale col seitan. Dall’impasto di glutine tagliava via alcune strisce sottili e le friggeva in padella.

La carne vegetale: il nuovo trend dell’alimentazione

Cole ricorda quasi con tenerezza quei primi giorni di pandemia e sperimentazioni culinarie. “Il sugo era buono. Se ci metti molto pepe il sapore non è così diverso. Provalo anche tu”, racconta oggi. Chissà, credo proprio avesse il palato intorpidito dai postumi del Covid. O forse ha ragione lui, il cereale è davvero un buon surrogato del guanciale. Ma non è questo il punto. Il punto è che la ricetta di Cole era in realtà parte di un cambiamento di gusti che attraversava (già da tempo) gli Stati Uniti interi, e anche altri paesi del mondo.

Non c’è dubbio che il coronavirus abbia accelerato certe tendenze dell’industria alimentare. Sono letteralmente esplose le vendite di surrogati di carne. Gli hamburger vegetali di Impossible Foods e Beyond Meat hanno ottenuto risultati fantastici nel 2020 – anche se meno brillanti nel 2021. Un po’ perché nelle prime fasi della pandemia tanti mattatoi si sono fermati, e quindi il prezzo della carne vera è cresciuto parecchio. Poi perché il virus, uscendo verosimilmente da un wet market cinese, ha fatto riflettere ancora di più, un certo tipo di persone, sul legame tra salute pubblica, sostenibilità ambientale e consumo di carne. La dieta di cui oggi godono gli abitanti del mondo sviluppato stupirebbe tutte le generazioni precedenti.

Quanto inquina l’allevamento di bestiame

Ma come spesso succede i vantaggi della modernità hanno un costo. La carne è economica perché miliardi di animali trascorrono vite miserabili e spesso tormentate dal dolore. Poche attività umane emettono più gas serra dell’allevamento di animali, in particolare il bestiame, per il quale gli allevatori abbattono enormi aree di foresta. La carne vegetale però non attrae solo vegetariani e vegani. Ci sono anche molti carnivori in cerca di soluzioni meno crudeli e dannose per l’ambiente.

Che cosa c’è per cena? La risposta a questa domanda conta a livello sia personale che planetario. Se il riscaldamento globale è una minaccia, il sistema alimentare vi contribuisce abbondantemente: è responsabile (secondo una ricerca dell’Unione Europea) del 37% delle emissioni totali di gas a effetto serra. E questa cifra aumenterà ancora visto che la popolazione mondiale continua a crescere e a mangiare sempre più carne. Non è un sistema molto efficiente. Un dato su tutti per inquadrare il problema: l’83% dei terreni agricoli non sfama direttamente gli esseri umani, ma serve ad alimentare il bestiame, che però rappresenta solo il 18% delle calorie consumate nel mondo. Ciò significa che quello che mangiamo è più importante di quanto mangiamo nel determinare la quantità di terra necessaria per produrre il nostro cibo. Il sistema alimentare è già sottoposto a forti pressioni, e a lungo termine lo sarà ancora di più.

L’innovazione è servita

Fortunatamente però stanno emergendo tecnologie che promettono innovazioni notevoli. Modi diversi di produrre calorie, potenzialmente in grandi volumi e con minor impatto ambientale. Abbiamo visto che qualcosa di simile alla carne non si ricava più solo dalle bestie d’allevamento, e che nemmeno le mucche sono più così essenziali per ottenere il latte.

La californiana Beyond Meat sta riproducendo tutti i capisaldi del fast food americano. Hamburger luccicanti nei loro panini brioche, crocchette di pollo, lunghi panini hot dog, salsicce. Niente ha origine animale. Le brioche sono vegane e ciò che sembra carne è un miscuglio di proteine di fagioli e piselli. L’intero menù è uscito fuori da un laboratorio. E oggi è in vendita nei supermercati di più di 80 paesi. La società, fondata nel 2009, ha fatturato 360 milioni di euro nel 2020, +26% rispetto all’anno prima. Quotata in borsa dal 2019, vale 3,9 miliardi di dollari.

Beyond Meat (Photo Illustration by Drew Angerer/Getty Images)

La sua principale rivale è Impossible Foods che però ha seguito una strategia diversa: meno fast food, più cucina gourmet. Un esempio è la partnership con lo chef David Chang, che in bacheca ha varie stelle Michelin, e il cui impero di ristoranti partito dall’east village di New York si è espanso anche in Canada e Australia. Le due società stanno sfruttando un mercato in crescita. Secondo una stima di ResearchAndMarkets.com, che sembra attendibile, il settore della carne a base vegetale valeva in tutto il mondo 5,6 miliardi di dollari nel 2020 e dovrebbe raggiungere 18 miliardi nel 2030.

Se possa crescere ancora di più, però, è tutto da capire. Solo perché il cibo viene prodotto in modi nuovi non significa che le persone siano disposte a mangiarlo. Certo, il latte vegetale si è spinto ben oltre la nicchia di consumatori vegani e intolleranti al lattosio. È questo l’esempio da seguire. Ma il sapore dei latticini è meno complicato da riprodurre. L’alternativa vegana al latte oggi vale 20 miliardi di dollari l’anno in tutto il mondo; e nel 2020 era a base vegetale il 15% del valore del mercato del latte americano.

Pure Beyond Meat e Impossible Foods vanno ben oltre la cerchia dei vegani. Tutti gli studi dicono che chi acquista i loro prodotti consuma anche proteine animali. C’è però una recente analisi di Credit Suisse secondo cui Beyond Meat non ha più margini così ampi di espansione. I risultati del terzo trimestre 2021 hanno deluso un pochino le aspettative, e ciò si è riflettuto in un andamento non brillantissimo del prezzo delle azioni.

Come simulare il sapore della carne

Ma al di là delle difficoltà specifiche di quest’azienda ci sono alcune incognite che riguardano l’intero settore. Il primo punto è che il cibo prodotto in armonia con l’ambiente – cioè senza inquinare e macellare animali – in teoria dovrebbe essere anche autentico e sano, o almeno è così che tende a immaginarselo il consumatore che si rivolge a questa nicchia. La carne vegetale inquina meno e lascia in pace le bestie, ma è molto lontana dall’essere “autentica”. Spesso si tratta di prodotti altamente trasformati, l’antitesi della purezza. “Pensiamo al nostro cibo come a un manufatto dell’industria tecnologica”, ha detto poco tempo fa Dennis Woodside, il presidente di Impossible Foods.

Per simulare il gusto della carne (macinata, è bene ricordarlo, visto che per tagli singoli l’offerta vegana è molto meno valida), bisogna prima isolare le proteine di piante come piselli e soia; poi le proteine vanno mescolate con addensanti come fecola di patate, grassi come olio di palma, sali e altri aromi. Però i legumi e i fagioli, così smembrati e trasformati, non esistono più: molto di quello che c’era di salutare è sparito.

La loro concorrenza, cioè vera carne macinata e salsicce, non è certo un toccasana – ma almeno è economica. I migliori hamburger a base vegetale invece sono quasi un prodotto di lusso, e fanno lievitare parecchio il conto della spesa. Più cari (nella maggior parte dei paesi) del manzo standard, come prezzo si avvicinano al succulento manzo biologico. Per molte persone, anche quelle meglio intenzionate, ciò che conta davvero è lo scontrino in cassa al supermercato. Fino a che punto i prezzi possono scendere e la qualità migliorare è ancora tutto da vedere.

La copia più o meno accettabile del macinato

Certo, l’hamburger di Impossible Foods è impressionante; chi l’ha provato negli Stati Uniti e in Asia è rimasto di stucco. L’arma segreta è un ingegnoso espediente per rendere più verosimile la consistenza del sangue. Negli animali questo effetto è dato dall’eme, una molecola ricca di ferro che è contenuta nell’emoglobina. I ricercatori di Impossible hanno scoperto il modo di ricavare qualcosa di simile: impiantando alcuni geni della soia dentro le cellule di lievito, ecco che esce fuori la leghemoglobina, cugina dell’emoglobina, ma in questo caso ottenuta senza torcere un pelo a mucche, polli e maiali. Per il rossore del sangue gli hamburger di Beyond Meat devono accontentarsi invece dell’estratto di barbabietola.

Forse l’effetto è meno realistico, ma c’è un vantaggio: un’approvazione più agevole degli enti regolatori. E così Beyond Meat ha aperto stabilimenti in Europa (Paesi Bassi) e Cina, dove produce il Beyond Pork, appositamente studiato per quel mercato che adora la carne di maiale. Invece l’hamburger di Impossible è ancora bandito in Europa, perché considerato cibo Ogm, e pure in Cina ha trovato ostacoli. Ma è bene chiarirlo: le carni vegetali, anche nelle manifestazioni più brillanti, restano una copia (più o meno accettabile) del macinato.

Le opzioni in lavoratorio più futuristiche

Per avvicinarsi al tessuto di un taglio preciso, tipo bistecca e filetto, bisogna tentare strade differenti. Più futuristiche, ma anche più controverse. Alcune società, lasciando perdere l’opzione delle piante, coltivano carne vera e propria direttamente in laboratorio. E così il cerchio potrebbe chiudersi davvero. Mangiare carne senza tormentare la propria coscienza: niente danni all’ambiente, né bestie macellate. Gli animali sviluppano naturalmente grasso, muscoli e tessuto connettivo. I produttori di carne coltivata devono riuscire a replicare la sensazione in bocca generata da tali forme. Non è affatto semplice.

Per ora nessuna azienda sta producendo su larga scala; e nessuna sta facendo soldi. Ma gli investimenti nel settore si accumulano lo stesso. La startup israeliana Future Meat ha raccolto a dicembre 347 milioni di dollari, la più grande iniezione singola di capitale in una società di carne sintetica (a cui ha partecipato, tra l’altro, anche il gigante alimentare statunitense Tyson Foods).

L’offerta di Future Meat consiste in pollo, agnello e manzo. Atre aziende si concentrano su prodotti più di nicchia. BlueNalu vuole coltivare tonno pregiato, reso raro e costoso dalla pesca eccesiva. La startup francese Gourmey vuole riprodurre il fois gras, mentre l’Università di Osaka sta ricreando la struttura del manzo Wagyu con staminali e stampanti 3D.

L’accesso ai mercati della carne coltivata

In tutto sono circa un centinaio le aziende che competono per essere le prime a portare sul mercato carne coltivata. Ci sono diversi ostacoli da superare. Il primo è l’approvazione delle autorità regolatorie. In questo Singapore ha anticipato tutti: nel 2020, dopo una revisione di sicurezza di un comitato di esperti, ha dato il via libera a Eat Just, startup di San Francisco, per vendere le sue crocchette di pollo in ristoranti e nelle case tramite app di consegne. Europa e Stati Uniti finora non hanno autorizzato alcuna commercializzazione diffusa. Il meccanismo dell’Unione europea funziona così: la carne coltivata passa attraverso un periodo di prova di circa 18 mesi in cui un’azienda deve dimostrare all’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) che il suo prodotto è sicuro.

Negli Usa invece bisogna avere l’ok di due enti: la Food and drug administration e il Dipartimento dell’agricoltura. L’altro grande ostacolo è sicuramente quello di contenere i prezzi. Proprio come gli animali nei campi, le colture cellulari nei bioreattori hanno bisogno di nutrirsi. L’alimento favorito da molte aziende è diventato il siero fetale bovino; molto ricco di sostante nutritive, ma con due inconvenienti: è caro e si ottiene in modo piuttosto cruento. Viene asportato dal grembo di mucche gravide destinate al macello. Non il massimo per un’industria che si picca di vendere carne non contaminata dalla morte.

Il grande pubblico saprà “digerire” le innovazioni?

E poi c’è un’ultima questione, forse la più importante. Mettiamo pure che i produttori riescano ad abbassare i costi, e che la loro offerta di laboratorio sia fedele all’originale (obiettivo ancora lontano per quanto riguarda tagli interi come petti di pollo, costolette o qualsiasi carne con l’osso). Esisteranno ancora dubbi sulla dimensione eventuale del mercato. Quanto potrà crescere? Anche se il risultato è buono, come reagirà il consumatore medio di fronte a un petto di pollo cresciuto in provetta? Secondo uno studio della società di ricerca inglese IDTechEx, il settore della carne coltivata raggiungerà 1,66 miliardi di dollari nel 2031. Numeri promettenti, però ancora da nicchia. Ma in fondo la carne vegetale è qualcosa di meno inconsueto. L’abitudine di cibarsi di piante non è nuova. Lo è invece quella di mangiare un muscolo cresciuto da una cultura in vitro. Un’ idea che potrebbe rivelarsi troppo inquietante.

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