“Siamo in guerra, è reale”. Non sono dichiarazioni fatte all’inizio della Seconda Guerra Mondiale o della Guerra del Golfo, e neanche da un’organizzazione terroristica, ma da Teresa Carlson, ex vicepresidente di Amazon Web Services, ora consulente del fondo di investimento General Catalyst. Carlson non ha esagerato. Ha constatato un fatto. Negli ultimi due anni gli investimenti in aziende e startup del settore difesa sono schizzati alle stelle. Nei primi cinque mesi del 2023, secondo Pitchbook, nei soli Stati Uniti le operazioni di finanziamento di aziende del settore sono state 200, per oltre 17 miliardi di dollari: più che in tutto il 2019. Ma allora era un altro mondo. L’invasione dell’Ucraina e la guerra in Medio Oriente hanno cambiato tutto. Investire nell’innovazione tecnologica della difesa è diventato necessario. Quello che sembrava un settore morto e scomodo è tornato al centro delle scelte di investitori istituzionali e governi.
I nuovi fondi per la difesa
Sulla rivista Foreign Affairs l’ex amministratore delegato di Google Eric Schmidt, parlando di quello che definisce “innovation power”, ha dichiarato che lo sviluppo tecnologico avrà una pesante influenza sulla geopolitica e la fonte della potenza di un paese starà nella sua abilità di innovare in continuazione. I governi lo hanno ascoltato. L’Unione europea nel 2021 ha lanciato un fondo per la difesa con una dotazione di 1,2 miliardi di euro, con cui ha finanziato 61 progetti di ricerca e sviluppo, e ha programmato 8 miliardi di euro di spesa in sistemi d’armi tra il 2021 e il 2027. Nel 2022 la Nato ha creato il fondo di investimento Nato Innovation Fund (Nif), con risorse per 1 miliardo di dollari, dedicato a startup della difesa, dell’intelligenza artificiale, dell’aerospazio e delle biotecnologie. Il fondo, finanziato da 23 stati dell’alleanza atlantica, tra cui l’Italia, ma per ora non da Stati Uniti e Francia, investirà in aziende dei paesi aderenti. L’obiettivo è evitare che imprese strategiche bisognose di capitali freschi si rivolgano a investitori cinesi. Il Nif sarà complementare al progetto Diana (Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic), focalizzato sulle tecnologie con doppio utilizzo commerciale e militare.
Il focus di queste iniziative non sarà sulle armi convenzionali, ma su startup che innovino anche le capacità militari. La vera rivoluzione è l’intelligenza artificiale e il suo utilizzo nei campi di battaglia. Già nel 2019 il Pentagono, in un documento strategico, sottolineava come l’intelligenza artificiale fosse pronta a cambiare la natura della guerra. La difesa nei prossimi anni sarà bytes and bullets, dati e proiettili, come sostenuto anche dall’ex ministro Cingolani, ora amministratore delegato di Leonardo e cooptato nel cda del Nif. Non si potrà prescindere dall’analisi dei dati per vincere una guerra, dunque.
I finanziamenti del governo americano
Un primo assaggio lo abbiamo avuto in Ucraina, dove l’azienda americana Palantir, grazie all’analisi dei big data e alla sua piattaforma di intelligenza artificiale, riesce a comunicare ai soldati di Kiev le esatte posizioni delle truppe russe e i loro spostamenti. Questo ha permesso agli ucraini di colpire con altissima precisione le postazioni nemiche e, secondo molti esperti militari, sta facendo la differenza a loro favore. Non a caso, il governo americano ha assegnato 823 milioni di dollari a Palantir per usare la sua piattaforma anche per l’esercito Usa.
Washington ha compreso l’importanza delle applicazioni dell’IA anche in ambito militare, finanziando startup come Vannevar Labs e Slingshot Aerospace. La prima analizza con l’IA le comunicazioni globali per l’intelligence militare. Nel 2022 il suo fatturato, grazie ai contratti governativi, è passato da 3 a 25 milioni di dollari. Slinghsot Aerospace, invece, sviluppa tecnologia per satelliti ed è partecipata anche da Lockheed Martin Ventures e dalla Nasa.
Non solo byte
La Cina non è da meno. Nel 2017 Xi Jinping ha creato la Commissione centrale per lo sviluppo integrato militare e civile, per studiare tecnologie applicabili sia in ambito civile e che in quello militare. Da questo doppio uso civile-militare passerà, secondo Pechino, la supremazia nel XXI secolo. La Cina ha testato per prima l’intelligenza artificiale per il controllo dei cittadini dello Xinjiang. In questa regione a maggioranza islamica, Pechino sta sperimentando tutte le più avanzate tecnologie per reprimere il dissenso e controllare gli abitanti. Il passo successivo sarà l’utilizzo militare.
Le guerre, però, non si combatteranno solo con i byte, ma serviranno ancora i proiettili e le persone che combattono. Una dimostrazione l’abbiamo avuta il 7 ottobre, quando i miliziani di Hamas si sono fatti beffe del sistema di sicurezza israeliano, uno dei più avanzati al mondo, per penetrare in territorio nemico. L’esercito israeliano è stato pioniere nell’utilizzo dell’IA per il controllo delle frontiere e dei movimenti del nemico e viene preso a modello dalle forze armate di tutto il mondo. In questo caso, però, lo scarso presidio dei varchi di frontiera da parte dei militari ha reso più facile l’ingresso di terroristi da Gaza. L’IA e le innovazioni tecnologiche saranno fondamentali per le guerre del futuro, che però dovranno ancora essere vinte dagli uomini sul terreno. Serviranno sia i dati che i proiettili. E soprattutto servirà spendere di più. Sempre di più.
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