Strategia

2 italiani su 3 cambiano abitudini di lavoro per l’inflazione e il carovita

L’inflazione e l’aumento del costo della vita incidono non solo sulle abitudini di acquisto degli italiani, ma anche sulla loro sfera professionale, tanto che il 73% dei lavoratori si sta muovendo in modo proattivo per far fronte all’aumento dei prezzi.

A rivelarlo è l’ultima indagine di Randstad, che ha analizzato l’impatto dell’aumento del costo della vita sui lavoratori e l’evoluzione del lavoro agile negli ultimi mesi. La ricerca ha coinvolto 764 lavoratori in Italia tra i 18 e i 67 anni, con 26.800 interviste svolte a livello globale.

Generazione Z e i Millennials i più attivi

Tra chi si sta muovendo in maniera proattiva per far fronte all’aumento dei prezzi ci sono gli appartenenti alla Generazione Z (89%) e i Millennials (84%), seguiti da Gen-X e Boomers (73% e 61%).

La possibilità di licenziarsi per trovare una posizione più remunerativa è considerata dal 13% dei lavoratori, in particolar modo dalla Gen-Z (26%) e dai Millennials (22%), mentre l’11% preferisce rimandare eventuali cambiamenti a un momento più stabile.

In generale, diversi intervistati manifestano preoccupazione per l’avanzamento della propria carriera: il 22% teme di non riuscire a crescere professionalmente e il 19% è preoccupato per la sicurezza del posto di lavoro.

“Il nostro osservatorio ci conferma che oggi i lavoratori sono maggiormente consapevoli di ciò a cui ambiscono nella loro vita professionale e sempre più attenti alla ricerca di un’occupazione che sia per loro sostenibile, sia dal punto di vista economico che organizzativo”, ha affermato Valentina Sangiorgi, chief hr officer Randstad.

Il supporto delle aziende al carovita

Gli intervistati ritengono insufficienti le azioni intraprese dalle aziende per aiutarli a fronteggiare il carovita. Solo il 38%, infatti, dichiara un supporto in tal senso da parte del proprio datore di lavoro, una media inferiore rispetto a quella globale (-13%) e a quella europea (-7%).

4 dipendenti su 10 hanno affermato di aver ricevuto supporto dalle proprie aziende, un dato in calo rispetto al 2022. Un terzo di loro ha percepito un aumento di stipendio o bonus negli ultimi sei mesi, che è rimasto invariato per poco meno del 60% e diminuito per l’8%, mentre solo il 23% ha ricevuto più misure di sostegno per le famiglie (assistenza all’infanzia o congedi parentali).

Un dato che pone l’Italia al di sopra della media europea (+5%), ma al di sotto di quella globale (-2%). Il 28% degli italiani ha visto un aumento dei benefit, come assegnazione di ferie annuali e prestazioni sanitarie.

Le soluzioni messe in atto dai lavoratori

Per fronteggiare le conseguenze dell’inflazione, i lavoratori hanno messo in atto diverse soluzioni: il 24% ha intenzione di aumentare (o ha già aumentato) le ore di lavoro, quasi il 20% sta valutando (o ha già cominciato) un secondo lavoro, il 14% sta pensando di posticipare il pensionamento. Ma c’è anche un altro 14% che ha incrementato lo smart working per ridurre i costi di spostamento.

A tal proposito, c’è chi preferisce lavora prevalentemente da casa (20%), chi non lo fa ma la riterrebbe la soluzione migliore (31%). Se molti lavoratori possono scegliere di praticare o meno il lavoro agile, altri trovano diversi ostacoli: per il 38% dei lavoratori l’azienda non offre sufficiente flessibilità per lo smart working, mentre nel 34% dei casi i datori di lavoro richiedono la presenza in ufficio con maggiore costanza.

Tuttavia, lavorare nella propria abitazione può significare farsi carico di un altro costo, quello dell’energia. Proprio per evitare questa spesa, il 10% degli italiani preferisce invece recarsi in ufficio. Tuttavia, per gli italiani la flessibilità rimane un fattore fondamentale. Idealmente, solo il 29% degli intervistati lavorerebbe 5 giorni su 5, mentre il 41% opterebbe per un’equa alternanza tra lavoro da remoto e in presenza.

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