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Cultura

L’importanza di valorizzare il patrimonio culturale italiano: l’intervista al direttore generale dei musei Massimo Osanna

Articolo tratto dal numero di agosto 2023 di Forbes Italia. Abbonati!

I musei sono il tesoro più grande, patrimonio dell’umanità inviolabile e indistruttibile. Un tessuto connettivo di valore e dei valori; della contemplazione e della bellezza, certo, ma anche, e soprattutto, del lavoro, dell’impresa, della valorizzazione e del territorio.

E anche strumento privilegiato di contrasto alla povertà educativa. Nel patrimonio artistico e culturale italiano c’è quanto basta per progettare il futuro del paese. Sono necessarie però strategie e visioni e occorre individuare le risorse per metterle a terra.

Il processo ha il suo profeta e tesoriere: Massimo Osanna, direttore generale musei al ministero della Cultura. “Il sistema museale nazionale, per quanto riguarda quelli statali”, dice, “annovera circa 500 luoghi della cultura, tra i più disparati. Non solo gallerie o musei archeologici, ma anche abbazie, castelli, giardini storici. Un patrimonio straordinario spesso poco conosciuto, se si calcola che circa il 90% delle opere d’arte dei nostri musei si trova in depositi e sotterranei. È un calcolo sommario che abbiamo fatto poco tempo fa e ci dice che su circa cinque milioni di reperti in nostro possesso – tra manufatti archeologici, opere d’arte, quadri – esponiamo il 10%, circa 500mila pezzi. Un patrimonio enorme su cui si deve lavorare”.

Sembra impossibile trovare risorse finanziare sufficienti per salvaguardare e valorizzare un patrimonio così enorme?
È così. Se si considera il numero di luoghi della cultura e della distribuzione in tutta Italia, ci possiamo rendere conto di quante risorse siano necessarie per mantenere questo patrimonio. Un discorso fondamentale che va fatto – soprattutto a tutti i nostri direttori e dirigenti di musei – è proprio quello sulla manutenzione programmata di tutti questi luoghi della cultura. E parliamo di costi di gestione, del personale. Un patrimonio enorme, ma anche fragile e difficile da mantenere.

Quindi che cosa bisogna fare?
L’impegno non può che essere recuperare risorse non statali. La riforma del 2014 – grazie alla quale 43 musei sono diventati autonomi, con bilanci, consigli di amministrazione e revisori dei conti propri – ha sancito l’impegno da parte dei direttori nel recuperare queste risorse esterne non solo dai biglietti (i cui proventi restano all’interno dei musei tranne il 20% che va dato alla direzione generale per la distribuzione ai musei più poveri), ma anche con tante altre attività, per fare in modo che tutti siano coinvolti nella tutela, nella conservazione e nella gestione di questo patrimonio, puntando sui privati.

Quali possono essere le soluzioni o i modelli innovativi di sinergia tra pubblico-privato?
Il codice degli appalti consente di seguire molte strade, spesso non praticate perché i musei non sono attrezzati per farlo. Proprio per questo, alla Direzione generale musei, è nato un tavolo dedicato all’elaborazione di linee guida sul partenariato pubblico-privato. Ci sono musei che hanno sviluppato attività pionieristiche, come il Parco Archeologico dei Campi Flegrei, dove il direttore Fabio Pagano ha avviato proficue collaborazioni per aprire e gestire luoghi solitamente chiusi come la Piscina Mirabilis, il cosiddetto Serapeo di Pozzuoli. Oppure le attività che sta portando avanti Filippo Demma, a capo del Parco archeologico di Sibaria attorno al quale sta nascendo una rete di musei con tante attività che coinvolgono le istituzioni del territorio, oltre ai privati.

Anche le strutture formative possono dare il loro contributo per garantire occupabilità e quindi sviluppare l’impresa artistica e culturale. Qual può essere il ruolo delle università?
Le università possono e devono contribuire. Bisogna fare rete: istituzioni pubbliche, musei, università e scuole devono essere strettamente collegati. I nostri musei devono diventare aule didattiche; i nostri depositi laboratori per gli studenti, i laureandi e i dottorandi. Questo sta avvenendo con i musei più virtuosi.

Per esempio?
Citavo prima Sibari. Ci sono andato di recente e ho visto un cambiamento straordinario: depositi con una presenza massiccia di giovani grazie agli accordi con università, in questo caso con la Imt Alti Studi Lucca. Gli assegni di ricerca permettono ai giovani di andare nei musei a lavorare per le proprie tesi, per le proprie ricerche. Le possibilità sono moltissime se si riesce a essere creativi nella gestione. È un dovere dei direttori e dei dirigenti trovare strade per fare sempre più rete con le istituzioni che innervano il territorio, coinvolgendo le comunità. Solo così i musei sa-
ranno sempre più aperti, sempre più luoghi di incontro, di confronto, di riflessione, di emozione e di godimento.

Il nostro sistema museale può essere protagonista nel contrasto alla povertà educativa e, quindi, nella valorizzazione del capitale umano del nostro paese?
Non solo i nostri musei possono avere un ruolo nello sviluppo del nostro paese dal punto di vista culturale, ma devono averlo. I musei non sono più luoghi polverosi dove si conservano reperti e dove si passa distratti e annoiati ogni tanto. I musei devono essere luoghi di incontro dove si ritorna perché propongono attività nuove, contaminano le forme d’arte, portano l’arte contemporanea nei luoghi archeologici. Luoghi dove le performance sono quotidiane e dove le comunità sono invitate a partecipare e a dare il proprio contributo.

In questo scenario qual è il ruolo del ministero?
A cominciare dalla Direzione generale musei, è quello di dare linee guida, indirizzare e coordinare. La nostra forza sta nel fatto che non abbiamo singoli musei privati – come accade in America – ma un sistema museale statale: 498 luoghi della cultura che possono fare rete. Questo ci permette, per esempio, di realizzare mostre straordinarie utilizzando il materiale dei depositi di un museo, che può essere trasportato in un altro. Penso al progetto 100 Opere Tornano a Casa che abbiamo realizzato un paio di anni fa, in cui opere che si trovavano nei depositi di grandi musei sono ritornati nei luoghi di provenienza. Capolavori praticamente dimenticati: da Brera alla Galleria Nazionale delle Marche, da Capodimonte a Matera. Tanti progetti virtuosi rispetto ai quali il ministero deve dare indirizzi e linee guida per una corretta gestione del patrimonio.

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