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“La democrazia non basta”. Il politologo che commenta i referendum sull’autonomia

Parag Khanna

Parag Khanna è uno degli esperti di geopolitica più influenti di quest’epoca. Young Global Leader del World Economic Forum, è consulente del governo tedesco e collabora da anni con la Cnn. È stato membro della New America Foundation, consigliere del US National Intelligence Council e ha lavorato in Iraq e Afghanistan. Da qualche giorno Fazi ha pubblicato il suo La rinascita delle città-Stato, un saggio denso di chiavi di lettura per interpretare gran parte delle complessità politiche del presente: dalla vittoria di Trump ai fatti della Catalogna, e dalla Brexit fino ai referendum per l’autonomia che abbiamo appena visto in Italia, Khanna è lo studioso che più di tutti ha capito che “la democrazia da sola non basta più”.

Parag Khanna, nel prologo del suo libro appena uscito scrive che questi tempi dimostrano che “la democrazia da sola non basta più”: come si è creato questo vuoto, e di cosa c’è bisogno per riempirlo?

A dirla tutta, la democrazia non è mai stata abbastanza. Non dovremmo confondere le elezioni democratiche e la selezione dei nostri rappresentanti con istituzioni quali il servizio civile, le corti e la burocrazia. Abbiamo bisogno che queste ultime siano solide nella loro costituzione, efficaci nei risultati e reattive alle richieste dei cittadini. Quando vediamo che lo Stato non sa più dare risposte, lamentiamo i fallimenti della democrazia. Ma andrebbe osservato che stiamo ancora vivendo in delle democrazie. Ciò che dobbiamo fare, piuttosto, è creare Stati efficaci.

Il 22 ottobre in Lombardia e Veneto si è votato per un “referendum per l’autonomia” che si prefiggeva di dare maggiore libertà d’azione ai governi regionali. Per quanto i risultati non avranno effetti legalmente vincolanti, si tratta di un’iniziativa che avvicina l’Italia a una tendenza “separatista” molto d’attualità a livello internazionale. Come giudica questo referendum?

Sono un forte sostenitore del decentramento dei poteri e di una maggiore autonomia in termini decisionali concessa a province e città, ma a ciò deve accompagnarsi una riforma amministrativa che porti a cluster metropolitani più funzionali e regioni in grado di investire nel mantenimento di infrastrutture di alta qualità a vantaggio dei loro cittadini. L’Italia può rafforzarsi diventando un gruppo coeso di regioni e città, che sarebbe un passo avanti rispetto all’attuale stato di disuguaglianza in cui versano le sue regioni.

La rinascità delle città-Stato è uscito per i tipi di Fazi.

Nel suo libro – a partire dal titolo – le città rivestono un ruolo fondamentale nella riflessione politica e geostrategica. I veri attori protagonisti della definizione del futuro della politica sono diventati i centri urbani. Come è successo, e perché?

Uno dei fattori principali è l’urbanizzazione. La maggior parte della popolazione mondiale oggi vive in città e la percentuale sta aumentando rapidamente. Per cui le città sono la principale base politica (e certamente economica) della maggior parte dei paesi. Non esiste un paese di successo senza città di successo, e idealmente un grande paese avrà diverse città di successo, non soltanto una o due. Ecco perché l’America, la Germania e la Cina risaltano: perché hanno roccaforti urbane diffuse sui loro territori. Ognuna di queste città gode dei benefici di essere parte di uno Stato un impero più grande, ma ha anche la libertà di cercare le sue connessioni globali sul piano commerciale, finanziario e tecnologico.

Un altro concetto interessante del suo saggio è quello dell'”info-Stato”, una post-democrazia che unisce la fascinazione per la democrazia diretta alla necessità di un management tecnocratico. È questa la direzione che sta prendendo lo scenario internazionale?

I governi più smart stanno indubbiamente passando al modello “info-Stato”, usando i dati e la tecnologia sia come fonte di informazione su cui costruire scenari che come modelli decisionali con cui valutare l’impatto a lungo termine delle loro scelte. Quindi non si tratta di una post-democrazia, ma di una democrazia più efficiente. Dobbiamo accorgerci che l’input democratico – la vox populi – è il dato più importante che registriamo, ma non l’unico.

Gli info-Stati si basano sul talento, e nella sua opera si legge che uno dei loro cardini è una politica immigratoria basata sulla “selezione all’ingresso”. Da questo dovremmo trarre che la forma di governo più auspicabile presenta, tra i suoi tratti, anche quello della chiusura delle frontiere?

Tutti i paesi devono imparare a mettere in equilibrio i loro flussi di merci, denaro, tecnologia e persone con gli attriti che li restringono per proteggere l’ordine sociale, la stabilità economica, eccetera. Non esiste una risposta univoca. Specialmente in Europa, i paesi devono considerare l’immigrazione anche alla luce della mancanza di forza lavoro in alcuni settori, come l’agricoltura, la tecnologia, l’industria. In un info-Stato, non si impongono tetti arbitrari alle migrazioni, ma piuttosto ci si affida a una valutazione dinamica esatta dei tipi di manodopera di cui c’è bisogno, in quali settori e in quali contesti geografici, e si agisce di conseguenza scegliendo quali flussi premiare.

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