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Lorenza Pigozzi, rischi ed impatto sulla governance delle imprese

la sala del cda di una grande azienda
(Getty Images)

Nell’epoca della rivoluzione digitale, della moltiplicazione e velocizzazione dei media, e in un contesto di instabilità geopolitica crescente, il presidio operativo del rischio assume per le imprese una centralità inedita. Proprio perché si tratta di questioni che hanno un impatto sull’immagine e sulla reputazione dell’azienda, nonché sulla responsabilità del management, una delle funzioni aziendali che più deve dotarsi di adeguati strumenti e processi di mitigazione del rischio è la comunicazione.

Il perché lo ha spiegato bene Lorenza Pigozzi, la persona che per prima è stata investita del compito di “comunicare” Mediobanca e che da allora ha impresso alla comunicazione dell’Istituto fondato da Enrico Cuccia una parabola di sviluppo coerente con la trasformazione del business di Piazzetta Cuccia. Oggi Lorenza Pigozzi è direttore comunicazione del gruppo Mediobanca e in anni turbolenti per la finanza globale e per il sistema bancario italiano in particolare, sulla gestione del rischio reputazionale ha accumulato una solida esperienza.

La reputazione, dell’azienda e del management, è l’asset che può essere maggiormente colpito in caso di crisi e perciò è anche il primo che dobbiamo proteggere”, ha spiegato intervenendo al convegno Cineas tenutosi il 9 aprile presso il Politecnico di Milano. Come organizzare una reazione efficace in termini mediatici di fronte a un evento che può aggredire seriamente l’immagine dell’azienda?

Un brand con una solida reputazione”, ha aggiunto, “avrà una maggiore esposizione ma anche meno difficoltà nella fase di recovery”. Ecco perché bisogna “prepararsi” alla crisi anzitutto lavorando sulla reputazione, con la consapevolezza che si tratta di un asset intangibile di valore rilevante che può rivelarsi improvvisamente fragile se non lo si è “consolidato” in precedenza. Lorenza Pigozzi ha dunque riassunto in quattro fasi l’intervento in caso di crisi passando per il racconto di due case history di buona e cattiva gestione della crisi.

Anzitutto va prevista, in termini di analisi dei rischi ai quali l’azienda è sottoposta e dei segnali premonitori che devono essere colti per tempo. In secondo luogo occorre avere gli “attrezzi pronti”: comitato di crisi, formazione interna, un piano e una sorta di “manuale”, cioè istruzioni su risorse disponibili e obiettivi. Terzo: si passa all’azione utilizzando gli strumenti ed evitando alcuni errori comuni come dichiarazioni che alimentano la crisi e deprimono la credibilità, cercare di ripararsi dietro no-comment; lasciare l’intervento a terzi. “Siamo noi la fonte più autorevole ed esauriente di informazioni ed è l’unico vero vantaggio “competitivo” che abbiamo, in particolare se sostenuto dalla reputazione”, ha sottolineato Pigozzi. Infine non bisogna trascurare la gestione dei “postumi” della crisi, cioè l’analisi degli eventuali danni: il direttore comunicazione di Mediobanca ha paragonato l’azienda a un’auto da corsa, che “non deve scendere in pista senza avere la certezza di poter reggere la competizione perché in caso contrario si rischia l’effetto indesiderato di amplificare la crisi invece di stopparla”.

Un capitolo particolare la responsabile della comunicazione della banca d’affari milanese l’ha dedicato ai social: “sono un acceleratore disintermediato delle notizie”, e così funzionano in caso di crisi. Perciò bisogna prepararsi anzitutto “ascoltandoli” e reagendo in modo che per certi versi può essere definito contro intuitivo: “Per la creazione di strategie efficaci è opportuno utilizzare i media tradizionali”. Ciò non significa bypassare i social, ma affidare i messaggi più strutturati all’ambiente che, di per sé, è più strutturato.

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