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Strategia

3 regole per creare un brand realmente autentico nell’era del deepfake

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(Shutterstock)

I deepfake sono arrivati tra noi. L’esempio recentissimo del senatore Matteo Renzi, protagonista suo malgrado di un fuorionda di Striscia la Notizia, è il primo caso in Italia di un deepfake che ha raggiunto un media generalista come la televisione lineare.

I semplici fake sono invece già noti da diversi anni. Google Trends mostra che la parola “fake” ha superato la parola “trust” tra le parole cercate, già a partire dalla fine del 2012.

Parallelamente al diffondersi dei deepfake, la fiducia dei consumatori nei confronti dei brand va continuamente riducendosi. Universal McCann – nella sua ultima survey globale sul ruolo dei brand nei social media – ha infatti trovato che la stragrande maggioranza dei consumatori non crede in ciò che vede o legge online. A livello globale, solo l’8% dei consumatori pensa che le informazioni ottenute dai social media siano vere, percentuale che scende al 4% nel caso in cui l’informazione provenga da influencers, bloggers o videobloggers. Anche le istituzioni governative sono considerate degne di maggiore fiducia, con una percentuale che sale al 12%!

In questo scenario, l’autenticità viene considerata come una leva molto potente che i brand devono utilizzare per combattere il basso livello di fiducia che i consumatori hanno nei loro confronti. Ma per dimostrare di essere autentici, i brand non possono limitarsi a comunicare il loro impegno a favore della sostenibilità, né tantomeno ingaggiare una influencer. Per essere considerato realmente autentico un brand deve invece progettare e realizzare una articolata “strategia dell’autenticità”.

Ma come si fa?

La ricerca accademica sull’autenticità di un brand si muove ancora con difficoltà. Molti dei modelli sviluppati fino ad oggi a mio avviso sono difficilmente “azionabili”, risultano cioè di difficile applicazione da parte delle aziende.

Tuttavia, la mia esperienza professionale mostra che i brand realmente autentici soddisfano questi tre criteri.

  • Un brand è autentico se appare umano

I robot digitali – i cosiddetti bot – sono diventati il principale punto di contatto tra i brand e i consumatori. I bot generano ormai una quantità di traffico sulla rete Internet che ha superato quella generata da noi umani. Nel maggio del 2018 alla conferenza degli sviluppatori F8 di Facebook, l’azienda riportò che esistevano circa 300.000 bot attivi che interagivano con persone attraverso Messenger. Oltre 8 miliardi di messaggi erano stati scambiati in quel mese, con una crescita superiore di oltre quattro volte rispetto all’anno precedente.

I bot si stanno trasformando da strumenti digitali attraverso i quali rendere più efficienti e comodi i contatti tra i consumatori e i brand, nel principale punto di contatto, quella che io chiamo la “faccia del brand”.

Ma questa faccia digitale può trasformarsi in una grande minaccia per l’autenticità di un brand. Quando recentemente Alexa “ha iniziato a ridere” senza alcuna apparente motivazione, si è generata grande confusione tra gli utenti. Tutto questo non ha provocato un grande danno al brand Amazon, ma cosa sarebbe successo se Alexa avesse iniziato a fornire informazioni non corrette oppure a trasmettere informazioni sensibili quali ad esempio i numeri di carta di credito o le password degli utenti Amazon? Tutto ciò non è mai accaduto – che io sappia – ma potrebbe accadere!

Le persone commettono errori che possono avere riflessi negativi sul brand che esse rappresentano, ma quando le facce digitali commettono gli stessi errori, l’impatto che ne deriva può crescere in modo esponenziale. Per mitigare tali rischi un brand deve sviluppare processi di recupero super-robusti seguendo queste due principali linee guida.

  • Trasmettere un messaggio a tutti

Quando accade qualcosa che impatta negativamente su un brand, i consumatori sono bombardati da molteplici fonti informative mentre non ricevono alcuna informazione dal brand “incriminato”. Tutto ciò porta confusione e spesso anche rabbia. Un brand autentico dovrebbe invece utilizzare la propria faccia e voce digitale per far sapere esattamente cosa è successo a tutti i consumatori.

  • “Parlare privatamente” con chi esprime insoddisfazione

Il feed di Twitter o la bacheca di Facebook hanno una cosa in comune: rappresentano un modo assai facile attraverso il quale i consumatori possono entrare in contatto con un brand facendolo sapere anche a molte altre persone. Le chatbot consentono di “spingere” un consumatore che esprime un’insoddisfazione, in una chat privata. In questo modo le persone del servizio clienti possono parlare con il consumatore e aiutarlo, trasformando la sua esperienza negativa in un’esperienza altamente positiva.

  • Un brand è autentico se stimola conversazioni sia online che offline

Nordstrom all’inizio di febbraio del 2017 fu rimproverata duramente da Donald Trump, da poco eletto presidente. Trump accusò – attraverso un tweet – il retailer di Seattle di boicottare la linea di abbigliamento della figlia Ivanka. Il tweet – che terminava in tipico stile Trumpiano con un’attacco diretto all’azienda accusata di trattare la figlia “so unfairly…terrible!”, generò una reazione molto potente in rete. Un team di ricercatori del MIT misurò un aumento del numero settimanale di menzioni su Twitter del brand “Nordstrom” del 1700%, con un tono che rapidamente si trasformò da positivo a negativo. Tuttavia, nelle conversazioni offline – cioè quelle fatte a voce tra persone – i ricercatori misurarono un sentimento stabilmente positivo. Il risultato finale di questi differenti segnali fu che le vendite estive di Nordstrom aumentarono del 2,5% rispetto all’anno precedente.

Si tratta di un esempio della dicotomia che esiste tra ciò che le persone scrivono online a caldo, e come invece si comportano poi nella realtà.

I ricercatori del MIT hanno potuto verificare che le conversazioni online e offline sono entrambe rilevanti anche se con motivazioni differenti, ed hanno un impatto sulle vendite molto simile. Hanno misurato infatti che il 9% delle decisioni di acquisto può essere influenzato da conversazioni digitali, mentre il 10% delle decisioni di acquisto è influenzato da conversazioni a voce.

Analogamente, numerose ricerche da me effettuate per diversi brand, hanno evidenziato che quasi il 75% dei consumatori parla ogni giorno di un brand con almeno un amico, un parente o un vicino, mentre meno del 10% dei consumatori scrive un tweet, un post o un commento sui prodotti che utilizza.

Nonostante queste chiare evidenze, molti brand che cercano di stimolare conversazioni scelgono di concentrarsi solamente sui social media. Dall’avvento di Twitter e Facebook i brand marketers hanno iniziato a pensare ai social media come a un luogo dove i consumatori dicono tutto ciò che pensano relativamente a un brand. Abbiamo visto che in realtà tutto ciò non è vero. Un brand per essere considerato realmente autentico deve invece stimolare conversazioni sia online che a voce, tenendo presente che si tratta di conversazioni molto differenti. Se Nordstrom avesse trattato le conversazioni online come se fossero state il “Vangelo”, avrebbe potuto prendere decisioni che potevano danneggiare le vendite invece che favorirle.

  • Un brand è autentico se è CONTRO qualcosa

Troppo spesso i brand cercano di dimostrare di essere “gentili, buoni”. Si fanno promotori di iniziative di raccolta fondi per “persone che hanno bisogno”.  Non c’è nulla di male in tutto ciò, ma l’effetto di questo genere di attivismo sul comportamento di acquisto dei consumatori è praticamente nullo. In questo modo infatti, i brand dimenticano di definire il loro antagonista, il nemico, ciò verso cui essi sono contro. Ed è proprio qui dove può nascere quella tensione emozionale, qualcosa su cui i consumatori potrebbero “scommettere” sull’autenticità del brand.

In altre parole, se un brand vuole rappresentare qualcosa, esso deve essere contro qualcos’altro. Anzi, per rappresentare qualcosa ed essere considerato autentico, il modo più efficace è proprio quello di essere contro qualcos’altro.

L’obiezione che spesso mi viene posta dai chief marketing e dai chief executive officers è che in questo modo si trasmettono valori ed emozioni negative. Spesso mi sento dire infatti, “Ma io non voglio che i consumatori associno il nostro brand a valori negativi”.

Identificare un cattivo, il proprio nemico, non significa però trasmettere necessariamente valori ed emozioni negative. Più spesso si tratta di ideali, di riferimenti concettuali che danno ai brand quella tensione di cui hanno disperatamente bisogno per essere considerati autentici. Ad esempio, un brand che vuole essere il brand della varietà e della diversità, deve ergersi contro il blando, il noioso, il banale. Un brand che vuole essere il brand dell’apertura mentale, dell’innovazione, deve essere contro il pregiudizio. Un brand che vuole essere per l’aiuto e la vicinanza alle persone deboli, deve essere contro il deficit di empatia che caratterizza la vita dei nostri tempi. Un brand che vuole essere il brand delle connessioni umane, deve essere contro l’isolamento.

Si tratta di emozioni positive e potenti. Sapere ciò contro cui si è, dà qualcosa per cui combattere. E quando i consumatori sanno che c’è qualcosa per cui combattere, essi diventano super-fedeli, fanatici di un brand autentico.

In un altro articolo che ho scritto su Forbes ho raccontato come Steve Jobs ha utilizzato il conflitto con un “cattivo” in modo molto efficace per costruire il brand Apple.

Un altro esempio straordinariamente illuminante ed efficace di attivismo “contro qualcosa” o meglio “contro qualcuno” è quello di Patagonia. Quando il presidente Trump – nel Dicembre del 2017 – ridusse drasticamente la dimensione di alcuni territori protetti in Utah, Patagonia oscurò il proprio sito Web e Yvon Chouinard – fondatore e CEO di Patagonia – dichiarò che stava per fare causa al Presidente Trump.

Grazie a questo tipo di contro-attivismo, Patagonia negli ultimi anni è riuscita a diventare “prima scelta” nella mente di milioni di consumatori americani – e più recentemente anche europei – nelle categorie di abbigliamento per outdoor in cui è presente.

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Stiamo entrando in una nuova era di alfabetizzazione mediatica nella quale i consumatori non solo sono divenuti capaci di evitare le forme tradizionali di comunicazione utilizzate dai brand, ma sono anche scettici nei confronti di ciò che i brand chiedono loro di credere. Quei brand che saranno in grado di mostrare di essere realmente autentici attraverso una strategia accuratamente progettata ed eseguita saranno in grado di battere i concorrenti, acquisendo nuovi clienti e aumentando la fedeltà di quelli già acquisiti.

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