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11 dicembre 2020

Mentre tutti parlano di clima e ambiente, la Cina torna di nuovo verso il carbone

La Cina ha annunciato di voler azzerare le emissioni di CO2 nel 2060. Ma intanto accelera la costruzione di centrali di carbone.
Mentre tutti parlano di clima e ambiente, la Cina torna di nuovo verso il carbone

Tommaso Carboni
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Tommaso Carboni

Cina carbone

Si può collaborare e fare business con qualcuno che ormai consideri una minaccia? Malgrado la guerriglia legale di Trump (travolgente su Twitter, fiacca davanti al giudice), la transizione alla Casa Bianca è in pieno svolgimento; e di sicuro tra i dossier più importanti c’è il rapporto che Joe Biden intende stabilire con la Cina: definirà la sua presidenza e probabilmente anche il nuovo ciclo della globalizzazione. E qui però bisogna dare parecchio credito a Trump, perché la novità del suo duro approccio con Pechino – non più alleato potenziale, ma temibile rivale strategico – è condiviso ormai da buona parte dell’establishment democratico. 

Ma se gli obiettivi sono gli stessi, cioè arginare l’accelerazione cinese, il metodo cambia. Biden crede nella diplomazia, nel sistema multilaterale e vuole coinvolgere pienamente gli alleati in Asia ed Europa. Continueranno politiche dolorose per la Cina, l’embargo a Huawei e le sanzioni nel campo dell’intelligenza artificiale e delle telecomunicazioni 5G. Su alcune questioni, però, Biden ha bisogno dell’aiuto di Pechino. Un indizio è la nomina di John Kerry come inviato speciale per il clima. Se la Cina non collabora, si può fare ben poco contro i cambiamenti climatici. Per parte sua, la Cina è abituata da anni a bilanciare rivalità da un lato e cooperazione con gli Stati Uniti dall’altro. Sa essere pragmatica, e ha fatto progressi fantastici nella cura ambientale.

La Cina tra carbone e rinnovabili

Ora che gli Stati Uniti tornano negli accordi sul clima di Parigi, Biden proverà a intensificare l’approccio comune su questo tema, soprattutto con la Cina, che nel frattempo ha annunciato di voler raggiungere, entro il 2060, emissioni nette di anidride carbonica pari a zero (l’Europa ci vuole arrivare nel 2050). E in effetti il governo cinese sta facendo molto per avvicinarsi a quest’obiettivo. Ha costruito un massiccio settore delle energie rinnovabili e spende per l’energia nucleare (decisamente più pulita di quella fossile) di gran lunga più di qualsiasi altro paese.

Ma non tutti i segnali sono positivi. Per esempio, c’è l’ostacolo del carbone, il vecchio combustibile da cui qualche secolo fa è partita la rivoluzione industriale. Inquina parecchio e ormai non è neanche più la fonte d’energia meno costosa. Andrebbe mandato rapidamente in pensione. L’Occidente, che deve al carbone la propria ascesa economica, lo sta facendo ormai da anni; mentre in America del sud e Africa questo combustibile non è mai veramente entrato nel mix energetico. Sono invece i grandi paesi dell’Asia a farne un uso ancora massiccio. È lì che avviene l’80% del consumo globale di carbone, di cui per la metà è responsabile un solo paese: la Cina. 

I precedenti storici

I precedenti storici non sono molto rassicuranti. Quando l’economia rallenta, la Cina sembra perdere interesse a inquinare di meno. È successo durante la crisi del 2008: il governo ha reagito con investimenti enormi nell’industria pesante. L’uso del carbone poi è sceso tra il 2014 e il 2016, ma è salito di nuovo in una fase economica meno brillante. Per tutto il 2019 la costruzione di centrali di carbone è aumentata rapidamente. E lo stesso è accaduto nei primi sei mesi del 2020. Dai governatori provinciali questo tipo di sviluppo è ancora visto come un modo sicuro per sostenere lavoro ed economia. Inoltre, la lobby del carbone è potente, e per ovvie ragioni appoggia questa crescita. 

Molti analisti sono preoccupati. Il punto è proprio capire l’effetto della crisi globale da coronavirus sui piani energetici cinesi. Dovendo affidarsi meno all’export, e tenendo conto dell’economia debole nel resto del mondo, la Cina, per forza di cose, tenta di accelerare lo sviluppo domestico. Il rischio è che la crescita venga da progetti di costruzione grossi e molto inquinanti. “In Cina il carbone è ancora incredibilmente importante dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico e della sicurezza, e i governi locali non credono che sia possibile sbarazzarsene immediatamente”, ha detto in un’intervista al Financial Times Yang Yingxia, ricercatrice dell’Istituto per le energie rinnovabili dell’Università di Boston. E ha aggiunto: “Non penso che il governo cinese abbia un’idea chiara di come raggiungere zero emissioni nette di Co2 entro il 2060”.

Il bivio è cruciale, anche perché dal carbone dipende poco più dell’80% delle emissioni di anidride carbonica cinesi. È fondamentale quindi non aggiungere altri impianti. Già adesso, avvertono alcuni scienziati, l’utilizzo fino a esaurimento della capacità esistente (di produrre energia attraverso il carbone) potrebbe facilmente spingere il mondo oltre i limiti dell’accordo di Parigi. 

L’esempio dell’Occidente

A questo punto, se l’obiettivo è lasciare sotto terra il carbone, vale la pena capire come ci stia riuscendo l’Occidente. Lo spiega bene un articolo dell’Economist. Il declino del carbone è stato reso possibile da tre cose che si rafforzano a vicenda: scelte politiche dei governi, alternative d’energia più economiche e limiti nell’accesso ai finanziamenti. 

Innanzitutto, l’Europa ha applicato regole più severe alle emissioni di Co2. Bruciare carbone è diventato molto più costoso negli ultimi anni. A questo si aggiungono le politiche adottate dai singoli Stati: ben 16, nell’Unione Europea, hanno concepito un piano per eliminare gradualmente il carbone o ne stanno valutando uno. Possono farlo anche perché esistono fonti alternative d’energia. Grazie a incentivi ed economie di scala, rinnovabili come eolico e solare diventano più efficienti ed economiche. Ma non si tratta solo di rinnovabili. Negli Stati Uniti, è stato merito più che altro dei gas naturali ottenuti con la tecnica del “fracking”.  Salvare il carbone, “bello e pulito”, prometteva Trump. Inutile: nel 2019 l’elettricità prodotta col quel combustibile è stata del 20% inferiore rispetto al 2016, l’anno in cui è stato eletto.

Ora questo declino va accelerato, esteso e prolungato.