Mario Draghi giustizia Italia
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Perché i soldi del Recovery fund non serviranno a niente senza una riforma della giustizia

Mario Draghi giustizia Italia
(foto Thomas Lohnes/Getty Images)

È Mr. Wolf, il risolutore di Pulp Fiction. È un marziano, è il Supremo, è Ronaldo che ci farà segnare tanti gol. Berlusconi, mistico, al suo cospetto dice di aver udito un catalogo di sogni. È il carro benedetto di Mario Draghi, una diligenza che vale 209 miliardi di euro, su cui adesso quasi tutti vogliono montare. Hanno forse capito che è l’occasione buona per spendere (e gestire) decentemente i molti soldi del Recovery fund europeo. Sul piatto, un corposo programma di investimenti. Ma Draghi ha parlato anche di riforme. Si tratta di sbloccare quegli assodati colli di bottiglia che frenano l’Italia. Riequilibrare il fisco, semplificare la burocrazia, rendere più efficienti giustizia e pubblica amministrazione. Ed è proprio lì che si cela il rischio maggiore di imboscate per il tecnocrate Draghi; quando si dovranno rosicchiare un pochino d’interessi e privilegi delle varie categorie o corporazioni (secondo i più critici). 

Un caso da manuale è la giustizia, che, se è cattiva, azzoppa la crescita. Processi incerti e lunghi scoraggiano gli investimenti, e in Italia siamo diabolicamente lenti. Nel penale, i peggiori d’Europa: un giudizio di primo grado arriva dopo 361 giorni, contro una media europea di 144. Nel civile ne occorrono 527, contro 233. E per le sentenze amministrative due anni e mezzo, più del doppio della media europea. Queste lungaggini fanno danni enormi. Proprio Draghi, nella sua ultima relazione da governatore della Banca d’Italia, disse che la cattiva performance della giustizia civile determinava una perdita pari all’1% del Pil ogni anno. Ora i fondi del Recovery permettono di svecchiare e aumentare gli organici, nonché una robusta informatizzazione.

Quanto costa la giustizia italiana

A questo punto, però, è meglio tenere bene a mente che non è solo questione di soldi. L’Italia ottiene sì risultati orrendi, ma non spende poco. Come a dire: la giustizia costa come se funzionasse. I dati Eurostat indicano che nel 2018, per il funzionamento dei tribunali, abbiamo speso lo 0,3% del Pil (5,8 miliardi di euro), in linea con il resto dell’Unione europea. Come la Spagna (0,34% del Pil), più della Francia (0,24%) e leggermente meno della Germania (0,39%). Per l’intero sistema giudiziario – quindi anche Corte costituzionale, ministero della Giustizia, carceri, etc. – l’Italia spende invece (dati 2016 del Cepej) lo 0,5% del Pil: come Germania e Spagna, più della Francia. Anche in termini di spesa pro capite (133 euro) siamo in linea con gli altri paesi. L’esborso dunque non è anomalo e non giustifica processi tanto lenti.

Ma dove vanno a finire tutti questi soldi? Nei tribunali, due terzi del budget è per i redditi da lavoro dipendente, cosa non dissimile dal resto d’Europa. Viene fuori però che in Italia c’è molta penuria di giudici e magistrati, e scarseggiano pure i loro assistenti con compiti amministrativi. Di giudici e pm ce ne sono 15 ogni 150mila abitanti, meno della metà della media UE. Lo staff amministrativo è di 49 unità ogni 100mila abitanti, contro una media UE pari a 79. La domanda è: se spendiamo come gli altri, perché abbiamo così poco personale? Forse perché gli stipendi sono alti? Facciamo un po’ di conti.

Dove finiscono i soldi

In Italia un giudice a inizio carriera guadagna quasi il doppio del salario lordo medio nazionale. In Europa siamo quindi intorno a metà classifica, anche se con un valore molto più alto di Francia e Germania. Il problema è che i nostri magistrati, tutti, da oltre quarant’anni, raggiungono il massimo livello di carriera e stipendio. Nel resto dell’Unione non è assolutamente così. Arrivato al grado più alto, il pm italiano è il più pagato d’Europa (sempre in rapporto al salario medio nazionale). Rumeni e bulgari si piazzano secondi e terzi. Ma il vero privilegio è alla Corte suprema (di Cassazione): qui gli italiani intascano 187mila euro l’anno, contro 123mila degli spagnoli, 119mila dei francesi e 82mila dei tedeschi (dati Cepej relativi al 2016). 

Analizzata la qualità dell’offerta di giustizia, resta il problema della domanda. Perché è noto come in Italia tante, troppe relazioni economiche abbiano bisogno di un giudice per essere risolte. È anche per colpa di questa elevata litigiosità che si ingolfano i tribunali, sia civili che amministrativi. 

Nel campo amministrativo, le rogne vengono spesso da atti poco chiari delle pubbliche amministrazioni, frutto di errori procedurali e cattive interpretazioni di leggi. Poi ci si mette il legislatore, confusionario e iper-produttivo. Insomma, un fiume di leggi, atti, decreti con cui burocrazia e Parlamento si rimpallano decisioni e responsabilità. Gli esperti la chiamano inflazione legislativa, oppure usano il più suggestivo “ossessione normativa”. 

Ben vengano, quindi i soldi del Recovery Fund. Ma senza una riforma incisiva del metodo e dei codici, probabilmente sarà tutto inutile.

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