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I problemi “burocratici” di Tesla a Berlino: le regole che nemmeno Elon Musk può infrangere

Questa inchiesta di Alan Ohnsman e Sofia Lotto Persio è apparsa su Forbes.com.

Bombe inesplose della Seconda guerra mondiale, proteste ambientaliste, sindacati e controlli sulle condizioni di lavoro hanno ostacolato i piani di Tesla per la Gigafactory di Berlino. Ma l’ostacolo più grande potrebbe presentarsi sotto forma di rigide normative tedesche.

Tesla aveva fatto il grande passo avanti a novembre 2019, quando Elon Musk aveva annunciato un imponente stabilimento per la produzione di auto elettriche in Germania, cuore della produzione automobilistica europea. La sua azienda della Silicon Valley stava cavalcando il forte rialzo del prezzo delle azioni, alimentato dall’inizio di una serie di profitti trimestrali. Cosa più importante, la sua Shanghai Gigafactory veniva realizzata a un ritmo sorprendente: stava per iniziare a produrre Model 3 solo 11 mesi dopo la posa della prima pietra.

Incoraggiato da quel successo e dal denaro derivante da un accordo di vendita di crediti green con Fiat Chrysler, il miliardario, che è amministratore delegato e co-fondatore della casa automobilistica, mirava a replicare il trionfo nella verdeggiante Grünheide, in Germania, sede del futuro impianto da 4,9 miliardi di dollari (4 miliardi di euro), 24 miglia a est di Berlino. “Giga Berlin sorgerà a una velocità apparentemente impossibile”, twittò Musk nel luglio 2020. Non è andata così.

La costruzione della struttura fisica è in fase di completamento, ma l’impianto potrebbe non iniziare a produrre Model Y fino al 2022, mesi dopo l’obiettivo iniziale del 1 luglio 2021. E i tempi potrebbero allungarsi ancora, in attesa dell’approvazione ambientale dallo stato di Brandeburgo. Tesla ha avuto una strada molto più difficile di quanto Musk avesse immaginato. L’azienda ha dovuto rimuovere dal sito ordigni inesplosi della Seconda guerra mondiale. Ha dovuto affrontare la dura opposizione degli ambientalisti per l’abbattimento di centinaia di acri di alberi, il vorace fabbisogno idrico della fabbrica e la distruzione degli habitat di pipistrelli e altri animali. L’impianto è tenuto d’occhio da IG Metall, il più grande sindacato tedesco, che vorrebbe dare vita a un comitato dei lavoratori. Il progetto è anche sotto esame per una possibile violazione delle leggi sul lavoro durante la costruzione e Tesla potrebbe essere multata per l’installazione di condotte fognarie senza autorizzazione.

“Nonostante, fino a poche settimane f,a le cose sembrassero andare bene per la struttura di Tesla, dietro la facciata può celarsi una realtà diversa”, afferma Matthias Schmidt, analista indipendente del settore automobilistico che risiede a Berlino. A suo giudizio, lo sviluppo del progetto è assimilabile a quello del nuovo aeroporto della capitale tedesca, che fu costruito in tempi brevi, ma vide l’apertura rinviata di quasi un decennio, durante il quale dovette lottare per ottenere l’approvazione definitiva a operare delle autorità tedesche. “Questo non significa che il caso di Tesla debba essere uguale a quello del nuovo aeroporto – entrato in funzione l’anno scorso -, dal quale la fabbrica dista peraltro pochi passi”, aggiunge Schmidt. “La vicenda, però, evidenzia che le cose non sono semplici in quell’inferno burocratico che è la Germania”.

I ritardi che caratterizzano il tentativo di Musk di entrare nel ricco mercato europeo complicano i piani del magnate delle auto elettriche per tenere a distanza la crescente competizione nel settore, specie quella di case automobilistiche tedesche come Volkswagen, Daimler e Bmw. Tesla potrà anche essere l’azienda produttrice di auto con la più alta valutazione al mondo, ma è ben lontana dall’essere la più grande. La sua capacità produttiva è infatti solo una piccola parte di quella dei giganti tedeschi, statunitensi, giapponesi e coreani: lo scorso anno ha consegnato poco meno di 500mila veicoli, contro i 9,3 milioni di Volkswagen. E se la fabbrica cinese è stata un’aggiunta cruciale al centro produttivo di lungo corso dell’azienda, a Fremont, in California, Tesla non può raggiungere l’obiettivo che Musk si è posto da tempo – produrre milioni di veicoli elettrici all’anno – senza Giga Berlin e un secondo stabilimento per l’assemblaggio in fase di costruzione a Austin, in Texas.

“Sull’onda della rapidissima costruzione della fabbrica di Shanghai, Tesla potrebbe avere calcolato male i tempi necessari a rendere operativa quella di Berlino”, afferma Garrett Nelson, senior equity analyst di Cfra Research. “Forse non ha tenuto del tutto conto delle significative differenze in termini di norme e requisiti ambientali”. La costruzione, aggiunge, è avvenuta peraltro nel mezzo dei problemi logistici e di forniture legati al Covid-19. “Tesla sta facendo tutto il possibile per rispettare la tabella di marcia, ma la verità è che l’avvio della produzione potrebbe essere rinviato fino all’inizio del 2022”.

La società non ha confermato le indiscrezioni secondo le quali Musk, pochi giorni dopo avere assicurato a investitori e analisti che “sia in Texas sia a Berlino le cose procedono per il meglio”, in occasione di una videoconferenza del 26 aprile sui risultati di Tesla, avrebbe accettato di rinviare di sei mesi l’entrata in funzione dell’impianto tedesco.

“Ci aspettiamo per quest’anno una produzione iniziale limitata sia in Texas, sia a Berlino”, aveva detto Musk durante la videoconferenza, “per poi arrivare a regime il prossimo anno”. Durante una visita a sorpresa al cantiere di Grünheide lunedì 17 maggio, ha dichiarato però ai giornalisti: “Penso che si potrebbe ridurre la burocrazia. Sarebbe meglio”.

“Ci vorrebbe qualche tipo di processo per la rimozione di norme”, ha dichiarato Musk, secondo la Reuters. “Altrimenti, nel tempo, le regole si accumuleranno, ce ne saranno sempre di più, finché, a conti fatti, non si potrà più fare nulla”.

Gli analisti hanno già adeguato i loro modelli relativi a Tesla, per tenere conto dei rallentamenti. “Giga Berlin sarà storia dell’inizio del 2022”, afferma Dan Ives, equity analyst di Wedbush. “Data la quantità di burocrazia in Europa, la tabella di marcia è ancora ricca di ostacoli. È necessario, tuttavia, che lo stabilimento sia in funzione entro il marzo del 2022. In caso contrario, la produzione verrebbe colpita”.

La posizione della Germania come potenza globale del settore automobilistico, grazie alla sua forte base di fornitura di parti e la sua reputazione per l’ingegneria di alta qualità, ha convinto Musk a preferirla ad altri paesi che aveva preso in considerazione per la fabbrica europea di Tesla. (Aveva valutato il Regno Unito, ma le incertezze legate alla Brexit si sono rivelate, in definitiva, una scommessa troppo grande). Oltre a vendere veicoli in Germania, Tesla aveva già piantato la propria bandiera nel Paese nel 2016, quando aveva acquisito Grohmann Engineering, rinominata Tesla Grohmann Automation. L’opportunità di confrontarsi sul loro terreno con i giganti tedeschi dell’automobile – che, a loro volta, si stanno attrezzando con decisione per chiudere il divario rispetto a Tesla sul fronte dei veicoli elettrici – ha aggiunto fascino alla sfida. Quando il progetto venne annunciato, nel 2019, il ministro dell’Economia tedesco, Peter Altmaier, disse che la decisione di Tesla di “costruire uno stabilimento altamente moderno per auto elettriche in Germania” era “la prova ulteriore di quanto il Paese fosse attrattivo come base per l’industria automotive”.

Dati gli ostacoli nei quali si è imbattuto, commenta l’analista Schmidt, Musk si sta forse “domandando se valesse la pena di affrontare tutti questi problemi per poter scrivere ‘made in Germany’ sul fondo delle auto in uscita dallo stabilimento di Berlino”.

Grünheide si trova nello stato del Brandeburgo, in quella che era un tempo la Germania Est. A 30 anni dalla riunificazione, l’ex Ddr resta ancora più povera rispetto al resto del Paese. I politici locali erano entusiasti alla prospettiva di un progetto che avrebbe creato migliaia di posti di lavoro e avrebbe regalato prestigio alla zona. “L’intera regione può adesso guardare con fiducia alle opportunità di sviluppo, grazie al progetto di Tesla che ha davvero fatto conoscere Grünheide al mondo”, ha dichiarato questo mese a Deutsche Welle Pamela Eichmann, presidente del consiglio locale di Grünheide.

Se coloro che governano la città stanno facendo il tifo per la fabbrica, molti altri la vedono sotto tutt’altra luce. Lo stabilimento occupa uno spazio compreso tra l’autostrada A10 e la stazione ferroviaria di Fangschleuse, ma è anche a pochi chilometri dalla riserva naturale di Löcknitztal, che gode dello status di zona protetta dal 1984 ed è registrata come area per la tutela di fauna e flora dal 1998. La traduzione letterale dal tedesco di Grünheide è “brughiera verde”.

Uno dei primi passi per preparare il sito da 300 ettari destinato a ospitare la Gigafactory di Musk è stato abbattere circa 430 acri di foresta. Non il migliore degli inizi, dunque, specie per una società il suo slogan è “accelerare la transizione del mondo verso l’energia sostenibile”.

Gli ambientalisti hanno temporaneamente bloccato le operazioni di abbattimento degli alberi all’inizio del 2020, ma Tesla ha ottenuto l’autorizzazione del tribunale a rimuovere prima 92 ettari di vegetazione, poi altri 82,8. Musk ha sminuito l’importanza degli alberi che ha tagliato: in un tweet del gennaio 2020 ha scritto che “non si tratta di una foresta naturale: è stata piantata per essere utilizzata per la produzione di cartone e solo una piccola parte verrà utilizzata” per la gigafactory di Berlino. La società si è anche impegnata a piantare il triplo degli alberi che ha abbattuto, anche se gli scienziati avvertono che, in generale, piantare nuovi alberi è una strategia di cattura del carbonio meno efficace rispetto al mantenimento di quelli esistenti. I gruppi di ambientalisti locali erano preoccupati anche dallo stravolgimento che la deforestazione avrebbe rappresentato per gli animali che vivono nella foresta. La preparazione del sito di Grünheide ha previsto anche il ricollocamento di pipistrelli e formiche che abitano nella foresta e la rimozione di sette bombe inesplose sganciate dagli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale.

Anche la quantità di acqua che l’impianto consumerà e il conseguente impatto sulla regione preoccupano gli ambientalisti locali. “La maggior parte del terreno destinato alla fabbrica coincide con un’area per la protezione dell’acqua potabile”, afferma Christiane Schröder, managing director del ramo brandeburghese di Nabu (Nature and Biodiversity Conservation Union), una delle più vecchie e più grandi no-profit tedesche per la tutela dell’ambiente, nonché capofila degli oppositori della Gigafactory. “Sono molto vicine allo stabilimento anche due aree per la protezione della natura, molto sensibili ai cambiamenti del livello dell’acqua nel suolo”.

A peggiorare la situazione ha contribuito anche lo scontro fra Tesla e le autorità distrettuali in materia di acqua, che hanno scoperto condutture installate senza permesso. Il ministero dell’Agricoltura, dell’Ambiente e della Protezione climatica dello stato del Brandeburgo ha fatto sapere a Forbes che Tesla ha ricevuto il permesso di continuare i lavori il 12 aprile, dopo una breve sospensione, ma corre ancora il rischio di essere multata per l’infrazione. Alcune fonti scrivono che l’Ufficio statale per la sicurezza sul lavoro e altre agenzie stanno conducendo indagini separate per appurare se Tesla abbia violato le regole sul salario minimo, sugli orari e le condizioni di lavoro e sugli alloggi dei lavoratori durante la costruzione dell’impianto.

In definitiva, afferma Schmidt, la fabbrica non sarà autorizzata a iniziare la produzione finché non avrà ottenuto tutti i permessi necessari. Un processo che può essere logorante.

IG Metall, il più grande sindacato tedesco con 2,2 milioni di membri, rappresenta i lavoratori del reparto ingegneristico di Tesla e, in un primo tempo, aveva accolto con favore il piano per la costruzione dell’impianto. In precedenza aveva provato a creare un’organizzazione dei lavoratori nell’unità Grohmann di Tesla, ma la società aveva alzato gli stipendi per fermare il tentativo. Jörg Hofmann, capo del sindacato, ha dichiarato questo mese alla Reuters che il sindacato intende creare un consiglio dei lavoratori e organizzare i futuri dipendenti di Giga Berlin.

L’affermazione rappresenta un anatema per Musk, oppositore dei sindacati. In California, il miliardario si è impegnato affinché United Auto Workers (Uaw) restasse fuori dallo stabilimento Tesla di Fremont. L’impianto era invece sindacalizzato nelle sue precedenti incarnazioni come struttura per una joint venture Toyota-General Motors e per la sola Gm. Il National Labor Relations Board, agenzia federale statunitense incaricata di fare rispettare le leggi sul lavoro, ha riconosciuto Tesla colpevole di pratiche scorrette: tra le altre cose, l’azienda ha interrogato i lavoratori sospettati di fare parte del movimento per costituire un’organizzazione sindacale a Fremont. La sentenza del 2019 è stata confermata nel marzo 2021. Musk ha ricevuto l’ordine di cancellare un tweet del 2018 con cui scoraggiava i lavoratori di Fremont dall’iscrizione alla Uaw (non lo ha ancora eliminato).

Per il momento, IG Metall attende di conoscere i dettagli operativi della fabbrica di Grünheide. Tra le altre cose, vuole sapere se Tesla intende seguire l’approccio utilizzato negli Stati Uniti e in Cina – tre turni per mantenere l’impianto in funzione 24 ore al giorno – e se conta di aderire alle norme tedesche sui salari e le condizioni di lavoro. “Concediamo a Tesla il beneficio del dubbio in merito alle condizioni dei lavoratori nel lungo periodo”, ha dichiarato Birgit Dietze, direttrice regionale di IG Metall.

Michael Dunne, analista di lungo corso del mercato automobilistico cinese (e proprietario di una Tesla), la cui società di consulenza ZoZo Go lavora con produttori di auto e componenti di tutta l’Asia, pensa che la straordinaria rapidità con cui Tesla è partita in Cina abbia portato l’azienda a muoversi troppo velocemente in Germania. “Immagino”, ha dichiarato, “che Tesla abbia pensato qualcosa del tipo: ‘In Cina ci sono moltissimi regolamenti, licenze da ottenere e interventi governativi, eppure ce l’abbiamo fatta in meno di un anno. Faremo lo stesso a Berlino!’”. Dunne aggiunge che potenti alleati nel governo hanno reso agevole il cammino di Tesla in Cina, ma uno scenario del genere è fuori discussione in Germania. “Un Paese è una democrazia, l’altro no. In Cina le regole possono cambiare anche per un capriccio. A differenza di quanto avviene in Germania, non c’è il tribunale dell’opinione pubblica”.

In Germania, gruppi come la Nabu di Schröder hanno il diritto di rendere nota la loro opposizione. L’attivista ha raccontato a Forbes che ha discusso le sue preoccupazioni con Tesla, ma l’azienda si è dimostrata ricettiva solo su alcuni punti: quelli su cui era più facile trovare un accordo. “Penso che Elon Musk sia più interessato ai suoi affari e alle nuove tecnologie che a prevenire davvero il cambiamento climatico”, ha dichiarato. “Vede una grande opportunità nella possibilità di vendere le sue invenzioni come ‘parte della soluzione’. Non si rende conto, però, che, come effetto collaterale, crea nuovi problemi”.

A posteriori, secondo Schmidt, Musk avrebbe avuto convenienza a costruire l’impianto in altri paesi Ue confinanti. “Forse i vertici di Tesla stanno iniziando a domandarsi se non avrebbero dovuto guardare appena qualche chilometro più a Est, verso i confini con la Polonia o la Repubblica Ceca, dove avrebbero avuto più libertà d’azione”, ha affermato. “C’è un motivo se la Porsche ha deciso di costruire il suv Cayenne – uno dei suoi modelli più redditizi – in Slovacchia”.

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