Il 27 ottobre 2020, Jack Ma aveva un patrimonio di 66,6 miliardi di dollari: il fondatore di Alibaba non era mai stato così ricco. Oggi – un anno, uno scontro con il governo e una temporanea sparizione dalla vita pubblica più tardi – la sua fortuna si è quasi dimezzata: l’ex uomo più ricco della Cina ha “perso” più di 28 miliardi.
Solo nell’ultima settimana, Ma ha visto sfumare centinaia di milioni al giorno. Mercoledì 17 novembre, infatti, Alibaba ha diffuso i numeri del terzo trimestre del 2021. Le entrate – 31,1 miliardi di dollari – sono state giudicate deludenti dai mercati, nonostante l’incremento del 29% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Il giorno dopo l’annuncio, il titolo ha perso l’11%.
A preoccupare sono soprattutto le prospettive future, dopo che la stessa società ha ammesso che “il contesto normativo” potrebbe “colpire le sue attività”.
Jack Ma e la battaglia con Xi Jinping
Il “contesto normativo” cui fa riferimento Alibaba è la stretta del presidente cinese, Xi Jinping, contro le grandi aziende tecnologiche. Una mossa di cui proprio Jack Ma era stato una delle prime vittime.
Poco dopo che la fortuna di Ma aveva raggiunto il suo apice, Pechino aveva bloccato all’ultimo istante l’offerta pubblica iniziale (initial public offering, ipo) di Ant Group, braccio finanziario di Alibaba, per cui era attesa una raccolta record da 34,5 miliardi di dollari. Pochi giorni prima, Ma aveva criticato in pubblico il sistema bancario cinese, a cui aveva attribuito una mentalità da “banco dei pegni”.
Dopo la sospensione dell’ipo, Ma era sparito dalla vita pubblica fino a fine gennaio, aveva smesso di scrivere su Twitter e aveva abbandonato il ruolo di giudice del suo stesso talent show, Africa’s Business Heroes. In aprile, l’antitrust cinese ha inflitto ad Alibaba la multa più alta della sua storia – 18,2 miliardi di yuan, cioè 2,8 miliardi di dollari – per avere abusato della sua posizione dominante e punito i commercianti che non vendevano in via esclusiva sulle sue piattaforme.
L’ultimo atto dello scontro risale a due mesi fa, quando il Financial Times ha raccontato come Pechino abbia preteso la scissione di Alipay, la ‘super app’ di pagamenti di Ant, e la creazione di un’applicazione separata per le attività di prestiti. Una mossa che, secondo fonti vicine al governo cinese citate dal Ft, aveva come obiettivo il controllo dei dati di un miliardo di utenti.
Il rallentamento della Cina
Le difficoltà di Alibaba e di Jack Ma si inseriscono nel generale rallentamento dell’economia cinese. Nel terzo trimestre del 2021 il prodotto interno lordo è cresciuto del 4,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: un dato inferiore al 5,2% previsto dagli analisti e al 7,9% del trimestre precedente. Oltre che, come spiega il Corriere della sera, inferiore a quello dei “concorrenti occidentali che era abituata a guardare da lontano”.
La stretta sui grandi gruppi tecnologici ha riguardato, oltre ad Alibaba, anche aziende come Tencent, Baidu e ByteDance (proprietaria di TikTok). Non è, però, la sola ragione della frenata. Pesano infatti anche le difficoltà nelle forniture energetiche, che hanno indotto il governo a imporre un taglio ai consumi delle industrie, i nuovi focolai di Covid, che hanno portato tra l’altro ad annullare eventi come le maratone di Wuhan e Pechino, e il caso Evergrande.
La seconda società di sviluppo immobiliare del Paese è schiacciata da centinaia di miliardi di dollari di debiti e non rappresenta un caso isolato. Secondo l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), “le difficoltà di Evergrande puntano i riflettori sull’intero settore real estate cinese, che si ritrova in una bolla”. L’analisi prevede che la crisi “sarà, con ogni probabilità, arginata attraverso una ristrutturazione parziale e ordinata a guida statale”. Tuttavia, “le proporzioni raggiunte dal settore immobiliare e gli squilibri finanziari dei suoi principali attori evidenziano i profondi difetti del modello ‘build, build, build’ (‘costruire, costruire, costruire’), che ha contribuito alla straordinaria crescita dell’economia cinese e che oggi viene riconosciuto come fonte di pericolo, dal punto di vista sia economico che sociale”.
Il momento di Jack Ma
Una fotografia del momento di Alibaba, e di come la frenata dell’economia cinese abbia interessato il gruppo, è data dall’ultimo Singles’ Day (l’anti-San Valentino, ricorrenza commerciale molto popolare in Asia che celebra le persone single). L’11 novembre – data composta da soli 1, 11/11 – Alibaba ha registrato vendite per 540 miliardi di yuan (84,5 miliardi di dollari). La cifra più alta di sempre, che rappresenta però un incremento dell’8,4% soltanto rispetto allo scorso anno: il più basso della storia.
Già a giugno Forbes.com aveva pubblicato un articolo intitolato La triste fine di Jack Ma Inc. “Ma era una celebrità mondiale, il cinese più famoso”, si legge. “Secondo alcuni sondaggi, era più famoso di Xi Jinping al di fuori della Cina. Jack Ma era Jeff Bezos, Elon Musk e Bill Gates concentrati in una sola persona. Era il volto della nuova Cina”.
Una fonte del Consiglio di Stato cinese ha paragonato l’intervento del governo sugli affari di Ma all’operazione di “mettere le briglie a un cavallo”. Ancora Forbes, però, affermava che la metafora delle briglie “fatica a descrivere questa orgia di distruzione di valore. Il ‘cavallo’ ha subito numerose amputazioni, compiute con perizia dal governo cinese”.
Lo scenario
Certo, Jack Ma, con un patrimonio di 38,2 miliardi di dollari, resta la quarta persona più ricca della Cina e la 34esima più ricca del mondo. Il rallentamento della crescita dell’e-commerce cinese che ha colpito il suo patrimonio negli ultimi giorni sembra però destinato a proseguire. Qualche settimana fa il South China Morning Post (di proprietà della stessa Alibaba) riportava che “il tasso di crescita del settore nei prossimi cinque anni dovrebbe essere solo un terzo di quello dei cinque anni precedenti”, secondo il 14esimo piano quinquennale cinese per l’e-commerce.
Tre numeri riassumono il risultato di tutti questi fattori: il titolo di Alibaba ha perso il 58% rispetto a quel 27 ottobre 2020, il 50,7% negli ultimi 12 mesi e il 41,6% dall’inizio del 2021. E John Freeman, vicepresidente equity research della società di ricerca Cfra, ha addirittura prospettato a Yahoo Finance “il pericolo di un delisting”. Vale a dire, la cancellazione del titolo dal listino di Borsa.
Il primo a pronunciare una profezia sinistra sul destino di Jack Ma, del resto, era stato il diretto interessato. Cinque anni fa, Ma incontrò alcuni insegnanti della Cina rurale e disse: “Credo che, tra le storie degli uomini più ricchi della Cina, poche abbiano un lieto fine”.
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