Negli ultimi vent’anni, situazioni simili si sono verificate più volte all’interno di Twitter, a distanza di qualche anno l’una dall’altra: la società si trova in difficoltà ed è costretta a considerare una vendita. A metà del primo decennio del secolo, Twitter ebbe abboccamenti con Yahoo e Facebook. Poi, qualche anno dopo, ci fu un avvicinamento con Google.
Nel 2016, un’offerta di Disney. La proposta da 500 milioni di dollari di Facebook è stata forse la più significativa, se non altro perché è stata valutata più seriamente. Arrivò in un momento in cui l’amministratore delegato, Jack Dorsey, aveva appena lasciato l’azienda (ricorda qualcosa?) e molti si domandavano se la società avrebbe mai sfruttato il suo potenziale economico.
“Tutte le possibili acquisizioni di Twitter hanno avuto a che fare con tensioni nel consiglio di amministrazione o cambi di amministratore delegato”, ricorda Jason Goldman, uno dei dirigenti fondatori di Twitter. “Proprio come la vicenda attuale”. Goldman ha trascorso quasi dieci anni nel cda di Twitter ed era presente all’epoca delle offerte di Yahoo, Facebook e Google. “Twitter ha una risonanza culturale che aziende molto più grandi possono solo sognare”, dice Goldman. “La sua impronta sulla cultura, in altre parole, è più grande di quanto il suo giro d’affari suggerisca”.
L’interesse della persona più ricca del mondo
Oggi Twitter è di nuovo nei guai. E forse è il momento di aggiungere un’altra azienda alla lista dei pretendenti. Microsoft o Salesforce, per esempio. In breve: Twitter ora ha un nuovo amministratore delegato, Parag Agrawal, che deve ancora essere messo alla prova e sta cercando di far crescere gli affari. Di colmare, insomma, quel divario tra potenziale commerciale e impatto culturale.
Agrawal sta facendo i conti con l’interesse della persona più ricca del mondo, Elon Musk, che vuole comprare Twitter per 54,20 dollari per azione. Poco più del prezzo a cui il titolo è stato scambiato negli ultimi tempi sul mercato, che ha attribuito alla società una valutazione di 43 miliardi di dollari. (La cifra è una classica mossa da Musk: il “420” alla fine è un riferimento voluto al 20 aprile, giorno che gli amanti della marijuana considerano una festa. Gli americani indicano il mese prima del giorno nelle date).
“Twitter deve essere trasformata in un’azienda privata”
Nel fare la sua proposta, Musk ha espresso scetticismo sull’attuale gestione della società. Ha dichiarato di volere che Twitter sia “la piattaforma della libertà di parola in tutto il mondo”. E ha aggiunto: “Ora mi rendo conto che la società, nella forma attuale, non prospererà mai e non rispetterà mai il suo imperativo sociale. Twitter deve essere trasformata in un’azienda privata”.
Twitter potrebbe non voler passare a Musk, ma presto potrebbe trovarsi a corto di mezzi per respingerlo. E se Musk non completasse l’acquisto, potrebbe avere aperto la porta, senza volerlo, ad altri potenziali acquirenti, interessati a entrare in scena e a presentare la loro offerta.
Twitter non gode della protezione offerta a Meta, Snap e Alphabet dalle azioni dual class, che impedisce a persone esterne di presentarsi all’improvviso alla porta dell’azienda e reclamarne il controllo. Twitter potrebbe adottare la strategia della ‘pillola velenosa’, ovvero vendere azioni a prezzo scontato per diluire la partecipazione di Musk. In questo modo, Agrawal potrebbe ottenere il controllo di Twitter, ma non è chiaro che cosa resterebbe della società in caso di una svendita simile, che colpirebbe il suo valore di mercato.
Chi potrebbe correre per salvare Twitter
Per sfuggire a Musk, Twitter potrebbe avere bisogno di un cavaliere dall’armatura bianca. Un pretendente con grossi fondi a disposizione con cui potrebbe coesistere più facilmente rispetto all’imprevedibile magnate delle auto elettriche. Il precedente più famoso per questa strategia risale al 1989 ed è il salvataggio della Gillette da parte di Warren Buffett, che acquistò 600 milioni di dollari di azioni privilegiate per fermare un tentativo di acquisizione ostile di Coniston Partners.
Buffett non c’entra con la vicenda Twitter. In effetti, se si pensa a chi potrebbe correre in soccorso della piattaforma, la lista dei candidati è piuttosto breve. Bisogna considerare i pretendenti passati, innanzitutto. Facebook/Meta è probabilmente fuori gioco perché è al centro di un’indagine antitrust della Federal Trade Commission, l’agenzia del governo statunitense che tutela i consumatori e previene le pratiche contrarie alla concorrenza. Lo stesso vale per Google, su cui indaga il dipartimento di Giustizia. Yahoo? Improbabile.
Disney ha di certo i soldi necessari e probabilmente non incontrerebbe grosse resistenze dai regolatori. Ma Bob Iger, l’amministratore delegato che pensò all’acquisto, ha lasciato la società e, nel libro di memorie che ha pubblicato nel 2019, non ha scritto niente di buono sul quasi-acquisto di Twitter.
“Twitter per noi aveva un grande potenziale”, ha scritto Iger. “Ma quel potenziale non poteva cancellare le sfide che avremmo incontrato. Per esempio, come gestire il discorso d’odio, le decisioni difficili sulla libertà di espressione e la predominanza di rabbia e scarsa civiltà”. (Molti di questi problemi affliggono Twitter ancora oggi).
Marc Benioff, il cavaliere bianco
Bene, ma allora chi può salvare Twitter? Ecco che cosa ne pensa Wall Street: Salseforce potrebbe permetterselo e il co-ad Marc Benioff, in passato, ha considerato seriamente l’acquisto di Twitter, prima di cambiare idea. L’altro co-ad, Bret Taylor, conosce senz’altro molto bene Twitter. In effetti, è il presidente del consiglio di amministrazione. Anche se non è chiaro se questo renda un acquisto da parte di Salesforce più o meno probabile.
PayPal, che lo scorso anno ha tentato di acquistare Pinterest per 45 miliardi di dollari prima di tirarsi indietro, potrebbe essere un pretendente sotto traccia. Va detto, però, che l’interesse di PayPal per Pinterest aveva più senso, se si pensa a Pinterest come a un sito di social shopping più che come a un social network. E PayPal conosce molto bene le transazioni digitali.
“Microsoft aggiungerebbe a Twitter professionalità, fiducia e rispetto”
Un altro probabile contendente, secondo fonti di Wall Street, sembra essere Microsoft. La società non ha voluto rilasciare commenti su un possibile ingresso nella mischia che coinvolge Musk e Twitter. Di certo ha manifestato il desiderio di comprare una piattaforma social piuttosto di recente. Nel 2020, infatti, ha provato con decisione a comprare TikTok per circa 50 miliardi di dollari e ha dovuto rinunciare solo a causa di un intervento dell’amministrazione Trump.
Inoltre, l’acquisto di LinkedIn per 26,2 miliardi di dollari ha già dimostrato che Microsoft può trasformare un social network donchisciottesco in una macchina da soldi. Secondo la società di analisi dei dati Statista, i ricavi di LinkedIn sono cresciuti dai circa due miliardi di dollari del 2016, anno dell’acquisto da parte di Microsoft, a oltre otto miliardi.
“Grazie a Microsoft, il valore di LinkedIn è cresciuto moltissimo”, afferma Brent Thill, analista di Jefferies. “Se ci si ferma a riflettere, si vede che Microsoft aggiungerebbe a Twitter professionalità, fiducia e rispetto”. Affermazione piuttosto condivisibile: Microsoft non formulerebbe un’offerta come un riferimento alla cultura dell’erba. L’ultimo, strano sviluppo nella tormentata storia dei tentativi di Twitter di vendere se stesso.
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