Il sistema universitario italiano si conferma uno dei migliori in assoluto a livello globale. È ciò che emerge dalla ricerca L’Italia e la sua reputazione: l’università, realizzata da italiadecide, in collaborazione con Intesa Sanpaolo e presentata con il supporto della Luiss Guido Carli.
Lo studio ha evidenziato un aspetto molto importante che, inevitabilmente, fa inorgoglire gli atenei italiani: anche se nel 2020 non piazza nessuna pedina tra le prime 100 in entrambi i ranking QS e THE (tra i principali per prestigio e per risonanza), tuttavia, nel caso di THE, vede addirittura oltre il 40% delle proprie università tra le top 1.000, dove invece Francia, Cina e Stati Uniti posizionano meno del 10% dei loro atenei.
Ma non è tutto. In entrambi i ranking, l’Italia nel 2020 piazza nelle prime 500, e ancor di più nelle prime 1.000 università al mondo, un numero di atenei confrontabile almeno con Francia, Germania e Cina. Tuttavia, normalizzando i dati dei ranking sul totale di università presenti in ogni Paese, l’Italia supera tutti, incluso il Regno Unito, per numero di istituzioni universitarie tra le prime 1.000, ovvero nel migliore 5% dell’intero sistema universitario mondiale.
“La ricerca di italiadecide promossa da Intesa Sanpaolo”, dichiara Paola Severino, vice presidente Luiss, “rappresenta un approfondimento importante per valutare il ruolo che i nostri atenei ricoprono a livello internazionale. Dai ranking analizzati emerge in modo chiaro la qualità delle nostre Università diffuse sul territorio, orientate ad assicurare ai giovani pari opportunità di partenza. Il nostro Paese, se analizzato nel suo complesso, emerge come un esempio virtuoso perché caratterizzato da una alta qualità media del sistema universitario”.
L’impatto della pandemia sulle università italiane
Avvalsasi dei risultati di una consultazione molto ampia, realizzata attraverso appositi questionari sottoposti a stakeholder nazionali e internazionali (dai creatori di ranking internazionali, fino ad arrivare ad accademici, a istituzioni internazionali che finanziano la ricerca italiana e a studenti italiani con esposizione a sistemi di istruzione terziaria nel mondo), la ricerca è stata integrata anche con un’analisi dell’impatto della pandemia sul sistema accademico e la capacità di reazione del sistema italiano nel confronto internazionale. E i risultati sono stati abbastanza positivi.
Nel 2020, infatti, l’università italiana ha sostanzialmente continuato a erogare lo stesso numero di ore di lezione, a tenere gli stessi esami e a produrre lo stesso numero di laureati rispetto al 2019. Pur tra tante difficoltà, il sistema ha dato prova di resilienza, flessibilità e spirito di sacrificio, adattandosi alla nuova realtà, per continuare a far girare la macchina. Si registra, addirittura un incremento di oltre il 9% delle immatricolazioni per il totale degli studenti nelle università pubbliche e del 7.1 % negli atenei privati (dal 15 novembre 2019 al 15 novembre 2020), a differenza di quanto accaduto nel 2009 quando la crisi economica fu pagata pesantemente anche in termini di mancate iscrizioni.
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Proprio in questo aspetto, il Sud registra l’incremento maggiore, superiore al 6% (+8mila immatricolazioni). Segue il Nord con oltre 10mila unità (numero maggiore in valori assoluti, ma con una variazione percentuale del 5,5%), e infine, il centro con un incremento di 5mila immatricolazioni, quasi il 4% (dati al 15 novembre 2020 comparati con il 2019).
Eppure qualche limite c’è. La ricerca mette in luce la ancora scarsa scarsa competitività a causa di risorse economiche nettamente inferiori agli altri principali Paesi di riferimento. Pur avendo un tasso di istruzione terziaria più basso degli altri, dato di per sé negativo, si riscontrano meno addetti alla formazione, con numeri ben lontani dai principali paesi di riferimento culturale nello scenario internazionale. La quota di risorse, rispetto alla spesa pubblica, è decisamente inferiore rispetto alle principali controparte europee. Questo non permette di migliorare le modalità di reclutamento dei professori e il ricambio generazionale. Proprio questa mancanze di risorse porta spesso a politiche della ricerca poco meritocratiche e più concentrate sulla distribuzione a pioggia di finanziamenti pubblici che a stento riescono a garantire l’ordinario svolgersi delle attività.
Per superare questi limiti, è necessario quindi rafforzare la qualità delle università italiane e la loro percezione all’estero, tramite politiche di reclutamento di docenti e studenti competitive; una maggiore efficienza della macchina amministrativa per liberare risorse da destinare alla ricerca e alla didattica; implementazione della didattica a distanza nell’offerta formativa per rendere l’istruzione più inclusiva; internazionalizzazione; una collaborazione con imprese private, anche al fine di far incontrare domanda e offerta di lavoro, e reti tra atenei; e infine, comunicando in modo migliore, più organico e strutturato, i punti di forza del sistema universitario italiano, offrendo una lettura positiva del sistema di alta formazione italiano, sia per trattenere i nostri studenti sia per renderlo più competitivo verso gli studenti (e i docenti) stranieri.
“Proporre soluzioni per migliorare il Paese”, dice Gian Maria Gros-Pietro, presidente Intesa Sanpaolo, “è il merito dell’attività di italiadecide, in particolare di questa ricerca, ed è con questo spirito che la sosteniamo da molti anni. Entro il 2024 Intesa Sanpaolo assumerà 3.500 giovani ed è quindi necessaria la disponibilità di competenze utili alle necessità di quella che sarà la Banca dei prossimi anni, con un’attenzione anche agli equilibri di genere. Avere giovani preparati e un sistema formativo più internazionale e vicino al mondo del lavoro è fondamentale per la competitività di un Paese e delle sue imprese. Il sostegno a 70 atenei italiani e alcuni stranieri, tra cui Oxford, con progetti di collaborazione puntuali, è dettato dall’attenzione del Gruppo alla produzione e diffusione della conoscenza per una equa distribuzione della ricchezza”.
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