Quando i mulini erano bianchi, Isabella Lazzini lavorava nel settore del ‘bianco’. Inteso come il mercato home appliance: lavatrici, frigoriferi di marche sontuose. E proprio da quell’esperienza l’attuale chief marketing officer di Oppo Italia ha ricavato la bussola che l’ha guidata nella sua carriera di manager. “Ero in Whirlpool e un mio direttore mi disse: ‘Se vuoi imparare il marketing, devi sporcarti le mani’. Aveva ragione. Ho imparato tutto dal contatto diretto con le migliori catene di retail, ascoltando la gente, i consumatori, cioè coloro che decidono il destino di una marca”.
Parlava anche con la casalinga di Voghera?
Certo. Quello che ti insegnano all’università ha bisogno di saldarsi alla realtà, alla vita quotidiana della gente, impegnata a risolvere i suoi problemi per vivere un po’ meglio.
Come è iniziata la sua carriera?
Sono nata in una famiglia di medici, a Varese. I miei si aspettavano che continuassi la tradizione di famiglia e diventassi chirurgo. Quando accettai il primo lavoro, uno stage in Whirlpool, a casa pensarono che vendessi elettrodomestici porta a porta. Non la presero bene. Oggi, però, sono molto contenti di quello che faccio.
Dopo Whirlpool è stata chiamata in Lg, poi in Apple. Cosa si impara lavorando nell’azienda fondata da Steve Jobs?
In Apple Italia ho imparato che l’ossessione per i dettagli infinitamente piccoli, in un gruppo infinitamente grande, non è un elemento di contorno. Anzi, è l’essenza della filosofia aziendale.
Poi, insieme al suo team, ha portato al successo Huawei Italia. Ora è in Oppo, che tra l’altro, come sponsor ha portato fortuna al Milan: dopo 11 anni di attesa, è arrivato lo scudetto
Beh, non esageriamo (sorride). Siamo orgogliosi di essere partner del club e, ovviamente, la vittoria porta un enorme beneficio di immagine a Oppo. Del resto, credo che la vita sia la ‘tecnica degli incontri’. Nell’ambiente del Milan ho conosciuto la squadra femminile, composta da ragazze meravigliose che chiedono sempre il massimo a se stesse. La loro filosofia assomiglia alla nostra, che consiste nel superare, con ogni nuovo modello, le aspettative del pubblico. Le ragazze rossonere sono così entrate a far parte della comunicazione di Oppo. Finora il nostro brand era conosciuto e comprato soprattutto da uomini, ma stiamo lavorando per avvicinarlo alle donne.
Uno dei suoi chiodi fissi è proprio il ruolo delle donne nel mondo del lavoro.
Sto conducendo una battaglia su questo tema. Balzo sulla sedia quando leggo che solo il 15% degli addetti nel mondo IT è donna e che nei ruoli apicali questa cifra scende al 5%. È inaccettabile.
Oppo offre il suo contributo alla valorizzazione delle donne nel lavoro con il progetto social Stories of Women, che racconta la storia di alcune menti creative.
Abbiamo scelto giovani designer come Giulia Rossetti, figlia d’arte, con le sue linee di gioielli, e Chiara Costacurta, che con le sue collezioni celebra la natura e la sostenibilità. Per loro Oppo Find X 5 Pro è uno strumento di lavoro e di comunicazione adatto alle loro passioni e alla loro voglia di rinnovarsi ogni giorno.
Qual è la fetta del mercato italiano di Oppo?
Il 12%. Il mercato italiano è quello che sta offrendo le migliori performance a livello europeo. Nel frattempo stanno crescendo bene anche Spagna e Francia.
Che profilo ha l’acquirente di Oppo?
È un consumatore che vuole uscire dal conformismo delle solite marche e provare un’esperienza nuova. Nel Find X 5 Pro troverà molti contenuti premium. Per esempio, ottiche che nascono da un accordo triennale con un mito della fotografia, Hasselblad, e intelligenza artificiale che permette foto notturne in 4K di una fedeltà mai vista.
Gli smartphone, a livello di design, hanno un limite oggettivo sull’inserimento delle ottiche: c’è sempre uno ‘scalino’ che raccoglie le fotocamere e fuoriesce dalla scocca. Come siete riusciti a levigare la ceramica in modo da inglobare le ottiche nei nuovi modelli di Find X 5?
È un procedimento molto costoso, che prevede 168 ore di lavorazione per ogni smartphone, con il coinvolgimento di duemila punti della scocca. Negli ultimi tre anni abbiamo investito 7,2 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo e i risultati si vedono. La ricerca parte dal centro di design di Londra, che studia nuove soluzioni ogni volta che lanciamo un modello. In quel laboratorio è stato concepito il nostro foldable, Oppo Find N, un piccolo smartphone che raddoppia lo schermo e offre grandi prestazioni.
Siete entrati anche nel grande tennis: avete piazzato le netcam Oppo sulla rete di Wimbledon, del Roland Garros e di altri grandi tornei, per mostrare il primissimo piano dei campioni che corrono verso la rete.
Questa collaborazione rientra nel nostro piano di comunicazione, che consiste nell’aggiungere valore narrativo attraverso device tecnologici.
Come è stato accolto Oppo Smartwatch dal mercato wearable?
Abbiamo una ricerca molto confortante, secondo la quale gli acquirenti lo hanno preferito all’Apple Watch. Ma non fatemi dire di più.
Nel futuro degli smartphone c’è la voce per dare i comandi? Oppure il metaverso?
La realtà immersiva in cui ci porterà il prossimo step della tecnologia è molto affascinante. Noi, come sempre, ci saremo.
In Cina il marchio Oppo produce anche smart tv. Progetti per il mercato europeo?
Al momento nessuno.
Lei è un’appassionata viaggiatrice. Turista fai da te?
Sempre. Adoro il Sudamerica e, poiché parlo bene lo spagnolo, mi trovo a casa. Bolivia, Cile, le Ande attraversate con una Jeep e la benzina che scarseggiava. Non amo la norma del turismo organizzato.
Il mancato chirurgo ha mani virtuose nel disegno e i suoi animali fantastici raccontano storie piene di ironia.
Mi piace disegnare queste forme fantastiche mentre i miei due cagnolini, due splendidi coton de Tuléar del Madagascar, saltellano per casa.
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