Paolo Clerici
Responsibility

Spirito da benefattore: così questo imprenditore sta aiutando le comunità del territorio

Articolo apparso sul numero di agosto 2022 di Forbes Italia. Abbonati!

“You can be rich and still be a good person”: nell’ufficio di Paolo Clerici le massime su lavoro e vita sono incorniciate in quadri e incastonate su pietre. Classe 1945, Clerici è presidente e amministratore delegato di Coeclerici, holding di un gruppo attivo nel settore delle commodities, nell’estrazione e commercio di commodities e nella costruzione di macchinari per l’industria del converting e dell’automotive, a seguito dell’acquisizione di Ims Technologies. Con oltre 1.200 dipendenti, nel 2021 ha registrato un fatturato di circa 650 milioni di euro.
Nel 2017, con il sostegno di Coeclerici, ha istituito la Fondazione Paolo Clerici, per contribuire, anche mediante l’arte, alla valorizzazione dei territori e alle comunità che vi risiedono. Tra i progetti più rilevanti, la donazione al Galata Museo del Mare di Genova di oltre 250 opere che compongono la Collezione marittima, il sostegno al progetto Itaca, realtà attiva nei temi della salute mentale e Flying Angels, unica organizzazione italiana a occuparsi del trasporto aereo di bambini gravemente malati che necessitano di assistenza sanitaria specializzata. Infine, una grande opera divulgativa legata alla storia della Marina mercantile italiana, una collana bilingue di cui il quarto dei cinque volumi verrà presentato a Procida, l’8 settembre, all’interno degli eventi della Città capitale della cultura europea.

Con che spirito è nata la Fondazione Paolo Clerici?
Nel mondo anglosassone esiste il concetto di ‘give back’, ovvero rendere. Persone che hanno avuto un determinato excursus è giusto che pensino a restituire qualcosa alla società. Io mi reputo non fortunato, ma fortunatissimo e mi sembrava giusto contraccambiare nei confronti della società, soprattutto verso luoghi in cui io e la mia famiglia abbiamo vissuto. Per questo è nata la fondazione.

Grande importanza è data all’arte. Quale ritiene che possa essere oggi il ruolo dell’arte nella società?
Nel tempo la fondazione spazierà anche in altri temi, ma trovo che l’arte sia l’essenza di tutto: noi imprenditori dovremmo incentivare la conoscenza e la bellezza. Ci sono tante realtà non conosciute. La maggior parte di noi cittadini è diventata molto esterofila. Ma viviamo nel Paese più bello al mondo e rischiamo di non conoscere le meraviglie che si trovano in Italia.

E quale ruolo dovrebbero avere le istituzioni nella promozione della cultura?
Le istituzioni, così come gli imprenditori, potrebbero e dovrebbero fare di più. Ci sono esempi positivi, come ad esempio il caso del Museo dell’emigrazione italiana, a Genova, che ha ricevuto molti fondi dal ministero della Cultura. Bisogna evitare il metodo dei ‘fondi a pioggia’, premiando le eccellenze, selezionando meno realtà ma destinando loro più fondi.
È importante, inoltre, garantire apertura: incentivando l’arrivo nei nostri musei di professionisti culturali da tutto il mondo.

Molte attività e risorse sono dedicate al tema della salute mentale
La salute mentale è un tema molto importante. Sino a poco tempo fa veniva ignorata o considerata ‘pazzia’, quindi non curata o curata con sistemi non sempre adeguati. Il problema principale è che le famiglie si vergognano di parlare di questo tema. Non vogliono accettarlo, e se lo accettano vogliono tenerlo all’interno delle quattro mura domestiche. In questo modo non è possibile migliorare la condizione. Fortunatamente esistono realtà come Itaca che si occupano di promuovere erroneamente la conoscenza su questi temi. Ricordo ancora una cena per una raccolta fondi in cui ho sfidato il pubblico ad ammettere di aver avuto almeno un caso diretto o indiretto di patologie psicologiche. Fortunatamente stanno aumentando le persone che si stanno interessando a questo argomento. La pandemia ha ulteriormente aumentato i casi di cui occuparci.

Che ruolo possono avere le imprese nel generare esternalità positive? E cosa serve per incoraggiarle?
Queste iniziative sono nate soprattutto nel mondo anglosassone e sono poi esplose nel mondo americano. Soprattutto seguendo lo spirito del ‘give back’, ma anche seguendo ragioni materiali e fiscali. Negli Stati Uniti ci sono vantaggi fiscali tali che molte persone preferiscono sostenere direttamente un ospedale o una scuola piuttosto che versare allo Stato. Sarebbe l’ideale anche in Italia, ma qui non è possibile. Esistono alcuni incentivi, ma molto limitati. I Paesi sono diversi, anche per quello che riguarda la cultura e questo frena il cambiamento di mentalità.

Come vede il futuro dei giovani imprenditori italiani?
Uno dei problemi riguarda proprio la successione. Gli eredi di un’azienda non sempre sono i più adeguati a giudare un’impresa. Negli Stati Uniti ci sono sempre state tante startup, ma nel nostro paese non c’era la mentalità e il sistema a supporto: senza capitali è stato sempre difficile fare impresa. Oggi, per fortuna, ci sono molti più imprenditori giovani che iniziano nuove attività. C’è una gran voglia di fare. Questa è una buona notizia, ma c’è ancora tanto da fare.

Quali sfide vede in questo contesto?
Siamo il Paese europeo con il maggior numero di ultratrentenni che ancora vivono a casa dei genitori. C’è inoltre il grosso problema degli incentivi a pioggia: è necessario che non abbiano un obiettivo a breve termine, ma una visione di medio-lungo termine. Alla base di tutto ciò c’è la cultura e l’educazione: dobbiamo promuovere lo scambio di idee e superare il campanilismo. Ascoltando e incoraggiando lo scambio di idee, i giovani imprenditori saranno portati a lavorare meglio. In questo quadro anche la mobilità gioca un ruolo essenziale, così come la meritocrazia. Viaggiare e lavorare in luoghi diversi aiuta ad aprire la mente. Senza scordare mai che bisogna sempre ambire a essere sempre e comunque a good person.

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