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Eligio Catarinella e Alessandro Grosso, i due giovani manager di Fca

Articolo di Alessandro Dall’Onda apparso sul numero di Forbes di settembre 2020. Abbonati

Non è facile diventare manager di Fca a 39 anni. Eppure Eligio Catarinella e Alessandro Grosso ci sono riusciti. Il primo è country manager per l’Italia dei brand Fiat, Lancia & Abarth, il secondo ricopre la stessa posizione per Alfa Romeo e Jeep. Ecco le loro storie e le loro strategie,

Come si diventa manager Fca a 39 anni?

CATARINELLA. Sicuramente non rinunciando a qualsiasi sfida o richiesta di posizione che ti venga offerta. Nel mio vocabolario non esiste la risposta “no, non mi piace”. Umiltà: c’è da imparare da tutti, sempre. Inoltre contano molto le relazioni, con i colleghi, con i clienti, con i concessionari. Ho cambiato lavoro mediamente ogni due anni, avrò ricoperto circa otto posizioni diverse in azienda facendo anche cose che non mi sarei mai aspettato di fare, andando in luoghi che non avrei mai immaginato. Mi hanno trasferito quattro anni fa in Svizzera a Zurigo senza parlare una parola di tedesco, senza aver mai messo piede prima di allora in territorio elvetico. Invece, anche quella è stata un’esperienza molto positiva, nella quale ho instaurato ottime relazioni di fiducia e collaborazione con la rete di concessionari. Da italiani lavorare in Fca oltre i confini nazionali ha una rilevanza diversa: all’estero ti misuri di più con la concorrenza.

 

GROSSO. Io dico sempre che Fca è un’azienda meritocratica. E io ne sono l’esempio. A 39 anni ho avuto aumenti di responsabilità, la possibilità di viaggiare sia in Italia che all’estero, l’occasione di crescere sia economicamente che professionalmente. Oggi occupo una posizione che potrebbe tranquillamente occupare una persona dieci anni più grande di me. Credo occorra disponibilità al cambiamento e al sacrificio. Io ho avuto una vita avventurosa e impegnativa prima di entrare in Fca ma anche dentro questa grande azienda non sono stato proprio immobile. Ho cambiato ogni due anni responsabilità, facendo non salti orizzontali o verticali ma obliqui, perché mentre aumentavo le responsabilità allargavo anche il perimetro: ho fatto pianificazione vendite Emea, poi ho preso la responsabilità della logistica commerciale del mercato domestico, poi nello stesso mercato ho preso la responsabilità del b2b, poi la responsabilità Emea del b2b e alla fine sono tornato sul mercato come country manager, per completare il percorso. Ora sono pronto per altri passi successivi, di mettermi ancora alla prova. Credo che la fortuna non esista: penso che sia la competenza che incontra l’occasione. Quindi sono stato fortunato nell’averla riconosciuta e colta.

 

Quali sono le caratteristiche che devono avere manager giovani come voi per affermarsi?

C. Una delle cose più importanti è la creatività. Lavoriamo in un ambiente talmente veloce e frenetico dove spesso hai difficoltà a seguire i processi al 100%: il mondo va fortissimo e devi prendere decisioni in fretta. In questo contesto la creatività consente di inventare cose nuove, cercare soluzioni innovative, promuovere azioni commerciali più efficaci. Non è qualcosa che si impara sui libri ma con l’esperienza, andando a cercare e ad ascoltare tutto quello che succede nel mondo, captando i segnali del mercato, parlando con gli amici, con la gente per strada e immagazzinando tutti quei segnali che ti possono aiutare a costruire le strategie migliori. L’altro elemento è l’ambizione. Creatività e ambizione, perché senza, è difficile andare avanti e realizzarsi. Idem per la competizione, necessaria nelle grandi aziende come quella in cui lavoro, composte da decine di migliaia di persone. Per me l’ambizione diventa fondamentale per crescere ed emergere, mantenendo però sempre la massima umiltà.

 

G. Sicuramente accettare un work life balance non ottimale. Nei primi sei anni in consulenza aziendale in giro per il mondo (di cui tre anni in Cina) ho fatto 15 giorni di ferie: quando i miei amici a Ferragosto o a Capodanno stavano festeggiando, io spesso ero in aereo. Ma non è mai stato un problema perché ero io il primo a volerlo fare, a voler sacrificare il mio tempo per costruire qualcosa di importante. Fondamentale è avere una persona vicina che ti permetta di fare questa vita e ti accompagni in ogni strada che prendi; saper coinvolgere il team e farti riconoscere non come un leader autoritario ma come un leader autorevole ti consente di fare squadra. I tre elementi sono sicuramente: internazionalità, work life balance, tanta ambizione e voglia di emergere.

 

Siamo appena usciti dal lockdown e i mercati hanno sofferto e stanno soffrendo. Quali sono le difficoltà più evidenti che state incontrando e quelle che pensate di dover incontrare?

C. Lavoro da casa da quasi cinque mesi e non mi ricordo un periodo in cui ho lavorato di più. Però mi manca molto l’aspetto sociale, le relazioni. Lavoro con una squadra di molte persone e il fatto di non vedersi anche solo per scambiare due chiacchiere o qualche opinione non per forza all’interno di una riunione, è un valore che stiamo perdendo. Con le video chat, il business si gestisce senza problemi, però si finisce una riunione e se ne inizia un’altra; mancano quei cinque minuti di pausa, di caffè, dai quali possono nascere anche spunti interessanti. Alla lunga sarà penalizzante anche proprio per far girare il cervello. Parlare attraverso il computer per 13 ore al giorno, per quanto tu possa essere creativo…diciamo che non è il massimo, ma ci adatteremo anche a questo cambiamento.

G. Per affrontare la situazione attuale un manager deve essere internazionale e non parlare solo al domestico. Deve poter parlare con gli stakeholders, con i clienti, sentire le terze parti, non essere autoreferenziale. La mia forza è stata quella di parlare con i clienti, percepire le esigenze e le opportunità e di muovermi prima degli altri. E sicuramente avere voglia di scoprire sempre nuove cose: la curiosità intellettuale è una caratteristica indispensabile. E poi la flessibilità: il mondo non è Torino, non è italiano ma è il mondo globale. Anche le cose più negative hanno dentro di loro delle opportunità. Con il lockdown anche grosse aziende hanno percepito che con lo smart working si può lavorare, e anche bene. Questo però non vuol dire che bisogna eclissarsi dal punto di vista individuale, anche perché non bisogna lavorare da casa ma lavorare smart, sul treno, negli aeroporti, in mille occasioni diverse; abbiamo imparato una nuova cultura digitale. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra lavoro da remoto, work life balance ma anche rapportarsi con l’indotto che ci sta attorno, che ha dovuto frenare ma non arrestarsi, e che sta cercando soluzioni per ripartire.

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