Articolo tratto dal numero di agosto 2021 di Forbes Italia. Abbonati!
Con oltre 1.500 satelliti in orbita e una media di due lanci al mese di 60 satelliti ciascuno, l’internet satellitare offerto da SpaceX attraverso la costellazione Starlink è già una realtà non ancora conforme alle specifiche, ma certo better than nothing, come è stata chiamata la fase di test. L’idea di fornire internet satellitare a tutte le parti del mondo non raggiunte dai servizi di terra è visionaria, come molte delle idee di Elon Musk, il quale, senza dubbio, ha fatto i suoi conti. La vendita dei servizi internet è infatti un settore in fortissima crescita: nel 2019 ha fruttato 687 miliardi di dollari e le proiezioni dicono che raggiungerà 74mila miliardi nel 2026.
In altre parole, ci si aspetta una crescita di oltre un fattore 100 in sette, otto anni; incremento che arriverà, in parte, anche dalle nuove connessioni di potenziali utenti che vivono in zone rurali poco o per niente coperte. Si parla di due miliardi di persone sparse nei diversi continenti. La Morgan Stanley ha stimato che il fatturato dell’industria spaziale, che attualmente tocca i 350 miliardi di dollari, nel 2040 sarà di 1.100 miliardi, 410 dei quali verranno dalla fornitura di servizi internet.
Ecco spiegato l’interesse di diverse compagnie, sponsorizzate da altrettanti miliardari, a questa applicazione della nuova space economy, che promette grandi guadagni, ma richiede imponenti investimenti. Non è un caso che il primo obiettivo di Musk sia quello di non andare in bancarotta, cosa che è successa a tutte le costellazioni satellitari del passato. Pur non conoscendo nel dettaglio il business plan di Starlink, c’è chi si è chiesto se il gioco valga la candela. Quanti utenti potrebbero essere ragionevolmente interessati ad abbonarsi a questo servizio? Usando dati forniti da Un e dalla Banca mondiale relativi al 2018, un gruppo di economisti ha stimato il numero dei potenziali clienti nei Paesi dove meno del 75% della popolazione è online. Il secondo passo è stato capire quanti, degli interessati, potrebbero permettersi i costi della connettività satellitare, utilizzando un valore indicativo di 60 dollari al mese, e richiedendo che il costo annuo del servizio sia inferiore al 10% del prodotto interno lordo pro capite di quel determinato Paese. Ovviamente sono ipotesi di lavoro, forse anche ottimistiche, visto che il costo reale dell’abbonamento al servizio degli Starlink sembra attestarsi intorno ai 99 dollari al mese. In ogni caso, in un mondo purtroppo diviso tra Paesi ricchi e poveri è chiaro che sono questi ultimi i più interessati al servizio che, però, ha costi troppo elevati per diventare effettivamente accessibile.
Tralasciando i Paesi ricchi, come la maggior parte degli Stati europei, gli Stati Uniti e la Corea del Sud, che già godono di una buona offerta della rete internet (ma dove gli utenti potrebbero abbonarsi per curiosità, o per godere della connettività veloce ovunque), il servizio potrebbe interessare a Turchia, Brasile, Messico e Cina. In effetti, però, difficilmente il potenziale mercato cinese si rivolgerà a SpaceX. I bene informati dicono che una rete cinese da 13mila satelliti sia già in fase di studio. I risultati non sembrerebbero molto incoraggianti per SpaceX e per tutte le altre reti satellitari. Tuttavia, la situazione potrebbe evolvere per soddisfare nuove esigenze come i veicoli a guida autonoma, l’internet of things o il cosiddetto hi-frequency trading, una modalità di negoziazione basata su transazioni ad alta o altissima frequenza.
Di certo SpaceX non guarda solo agli abbonamenti residenziali e sta cercando di espandere il numero dei suoi potenziali clienti offrendo il segnale internet in mobilità per soddisfare la richiesta di connettività che vengono dal mercato delle auto, dei camion, delle navi e degli aerei. In questo modo i passeggeri potrebbero essere connessi durante il viaggio, aumentando il numero dei potenziali utilizzatori del servizio. In parallelo, la rete Starlink potrebbe interessare al Dipartimento della Difesa americano che sta studiando il possibile utilizzo delle costellazioni ‘basse’ all’interno, o in alternativa, al suo Global positioning system (Gps) che è una infrastruttura militare basata su una rete di 32 satelliti che orbitano a 20mila km di altezza. Il segnale Gps, di vitale importanza tanto per la nostra sicurezza che per la nostra economia, arriva a terra attenuato dall’altezza dell’orbita e questo rende possibile il disturbo da parte di potenze ostili. Conscio di questo problema, il Pentagono ha cercato soluzioni alternative guardando ad altre reti satellitari che potrebbero fornire un servizio indipendente dalla rete Gps e la costellazione Starlink (che opera a 500 km di quota) ha aperto nuovi orizzonti. Aggiungere a bordo degli Starlink un dispositivo Gps di ultima generazione sarebbe semplice e potrebbe fornire un posizionamento al contempo più preciso e basato su un segnale più potente, quindi pressoché impossibile da disturbare. Ovvio, le migliorie non sarebbero senza prezzo. Gli utilizzatori dovrebbero dotarsi di una stazione ricevente per il segnale Starlink e aggiornare la loro strumentazione. Una richiesta che non spaventa certo i militari, che hanno investito almeno 12 miliardi di dollari nella loro rete Gps, la cui gestone costa circa 2 milioni di dollari al giorno. Se il Pentagono vuole un’alternativa robusta al Gps, Starlink sembra una possibilità interessante. Musk non si lascerà scappare l’occasione, così come ha colto le possibilità offerte dal governo americano che ha dato generosi sussidi per aumentare la connettività delle regioni rurali.
Patrizia Caraveo è dirigente di ricerca all’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e lavora all’Istituto di Astrofisica spaziale e fisica cosmica di Milano. Nel 2021 è stata insignita del premio Fermi.
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